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Politica e Potere
08.07.14 - 09:030
Aggiornamento: 19.06.18 - 15:41

Accordo istituzionale Svizzera-UE, Michele Rossi: “Dubito che la Svizzera accetterà l’impostazione di Bruxelles”

L’avvocato luganese, delegato alle relazioni esterne per la Camera di commercio ticinese, commenta per liberatv le critiche trasversali al mandato negoziale dell’UE. “Verrebbe ceduta in parte la sovranità”

LUGANO – “Credo che sarà molto difficile trovare un’intesa quando in ballo ci sono aspetti così importanti come la cessione di sovranità. Quindi penso che la Svizzera non sarà disposta a fare il passo che l’UE chiede, concedendo di fatto i poteri giudiziari e di polizia, diciamo così, alle istituzioni di Bruxelles.” È questa la lettura essenziale che dà l’avvocato Michele Rossi, ex diplomatico ed esperto di rapporti con l’Unione Europea, al futuro delle trattative a favore di un accordo istituzionale, dopo che la politica ha criticato trasversalmente l’impostazione del mandato negoziale di Bruxelles, portata alla luce dalla stampa nel fine settimana. 

L’avvocato luganese, ex diplomatico che prese parte ai negoziati e alla stesura degli accordi con l’UE negli anni ’90, ritiene che le critiche espresse da quasi tutti i partiti abbiano fondamento, e che le ‘richieste’ europee determinerebbero giocoforza una perdita di sovranità per la Svizzera. Non solo, l’analisi è a 360 gradi e tocca le alternative e le concrete prospettive dell’accordo, anche alla luce del voto del 9 febbraio e di tutte le altre questioni ‘aperte’ tra Berna e Bruxelles, in particolare l’accordo sulla Libera circolazione delle persone. 

Michele Rossi, domenica sulla stampa è apparso un documento che svela le “richieste” europee per la conclusione dell’accordo istituzionale tra Berna e Bruxelles. I contenuti hanno suscitato critiche trasversali di PLR, PPD e UDC, ma anche PS. Come giudica questa reazione? 

“Evidentemente la reazione si riferisce a una proposta dell’UE che va molto al di là di quello che il Consiglio federale sarebbe stato disposto ad accettare sulle questioni istituzionali. In realtà, stando a quello che si è saputo domenica, quello che Bruxelles vuole è un sistema in cui il controllo sull’evoluzione del diritto e sull’applicazione degli accordi sia esercitato da istituzioni comunitarie, in altre parole che siano loro a verificare questi aspetti istituzionali. Nel proprio mandato negoziale invece il Consiglio federale aveva previsto dei sistemi dove, nonostante il coinvolgimento delle istituzioni UE, alla Svizzera sarebbe spettata comunque l’ultima parola, decidendo o meno se tener conto di quanto espresso da Bruxelles. La reazione politica va dunque ricondotta al superamento dei limiti imposti dal mandato del Consiglio federale.”

Come ha già spiegato, nel suo mandato negoziale Bruxelles ha indicato che per la Svizzera le decisioni della Corte europea devono essere giuridicamente vincolanti e che sarà la Commissione europea stessa a vigilare sul rispetto dell’accordo da parte della Confederazione, come sempre la Commissione stabilirà i criteri finanziari per l’accesso contributivo svizzero al fondo di coesione. Non crede che questa impostazione possa creare dei problemi? O meglio, pensa anche lei che la sovranità nazionale verrebbe messa in pericolo e svuotata di senso, come affermato trasversalmente dai politici svizzeri?

“È proprio così, l’Unione europea vorrebbe affidare a sé stessa il controllo dell’accordo, ed è questo il principale nodo da sciogliere e che creerà le maggiori difficoltà. Dopodiché se la Svizzera dovesse accettare questa impostazione, cosa che non credo avverrà, vorrebbe dire che nei settori toccati dall’accordo istituzionale la Confederazione cederebbe parte della propria sovranità alle istituzioni europee, la cessione di sovranità risulterebbe infatti inevitabile. Sarebbe come se la Svizzera in questi ambiti avesse una situazione simile a quella dell’adesione, non sarebbe uno stato membro a tutti gli effetti, ma laddove ci fosse un accordo bilaterale, che ricadrebbe sotto quello istituzionale, sarebbe come esserlo, visto che le controversie verrebbero risolte dalle istituzioni europee. A mio avviso sarebbe addirittura peggio…”

Si spieghi meglio.

“Sarebbe una situazione quasi peggiore di un’adesione perché non avremmo neppure voce in capitolo sulla formazione del diritto che ci verrebbe imposto, come non avremmo dei nostri rappresentanti all’interno del tribunale e della Commissione europea che potrebbero controllare l’applicazione del diritto.” 

Kathy Riklin, consigliera nazionale PPD, sostiene che sarebbe stato meglio proporre a Bruxelles di affidare la sorveglianza degli accordi alla Corte AELS. Crede che potrebbe essere un compromesso maggiormente ‘digeribile’?

“Io credo che l’Unione Europea non sarà mai disposta ad affidare a un tribunale di un’altra organizzazione la verifica e un accordo firmato dall’Unione stessa. Non sto dicendo che l’UE ha ragione, ma soltanto che conoscendo come si muove Bruxelles questa opzione non è data. Il Consiglio federale ha fatto tutto il possibile per immaginare un sistema che coinvolga le istituzioni europee, ma che conceda l’ultima parola alla Svizzera. Questo non è stato accettato da Bruxelles, che allo stesso modo non accetterebbe di affidarsi al tribunale dell’AELS. Ad ogni modo anche con questa soluzione la Confederazione cederebbe parte della propria sovranità ‘all’estero’.”

Anche il PS ha espresso preoccupazione, vista l’assenza nel documento di qualsiasi accenno alle misure d’accompagnamento alla libera circolazione a protezione dei lavoratori, inserite invece nel mandato svizzero. Un’ulteriore sconfitta? 

“Io non ho in mente il testo esatto adottato dal Consiglio federale, però credo che in questo caso la critica non sia pertinente, perché le misure di accompagnamento non fanno parte delle questioni istituzionali, sono delle misure volte ad evitare determinati effetti non voluti originati dagli accordi bilaterali medesimi, e sono diverse a dipendenza degli accordi. L’accordo istituzionale riguarda invece solo il recepimento del diritto, la sorveglianza, l’interpretazione e la composizione delle controversie, punto. È dunque normale che non ci siano, come già non c’erano negli accordi bilaterali stessi sottoscritti negli anni novanta, accordi ai quali ho preso parte partecipando alla stesura. Si tratta unicamente di misure adottate dalla Svizzera sulla base di leggi svizzere, non abbiamo certo dovuto chiedere il permesso di Bruxelles per adottarle.”

Infine come crede che si svilupperà la trattativa, anche alla luce del voto del 9 febbraio? Crede che il ministro degli esteri Didier Burkhalter riuscirà a sbrogliare la matassa e a superare le critiche?

“Su questo punto tengo a fare una premessa, perché spesso vengo frainteso e non vorrei passare come un fautore dell’adesione come ogni tanto qualcuno mi addita erroneamente: quando parlo dell’Unione europea cerco semplicemente di spiegare la posizione di Bruxelles, ma poi sta a noi decidere come comportarci, e credo che la Confederazione abbia tutto l’interesse a capire meglio le dinamiche interne alle istituzioni europee per poi impostare una propria strategia che sia anche realista. Insomma noi dobbiamo difendere i nostri interessi, ma è importante conoscere chi abbiamo di fronte.”

Premessa fatta, concretamente cosa crede che succederà dunque? 

“Credo che sarà molto difficile trovare un’intesa quando in ballo ci sono aspetti così importanti come la cessione di sovranità. Quindi penso che la Svizzera non sarà disposta a fare il passo che l’UE chiede, concedendo di fatto i poteri giudiziari e di polizia, diciamo così, a delle istituzioni di Bruxelles. È pertanto probabile che le trattative languiranno ancora a lungo prima di trovare un’intesa, sempre che un’intesa verrà trovata. Se così non fosse non credo che i danni che potrebbero risultare da un mancato accordo siano così grossi come quelli che invece deriverebbero dall’impossibilità di applicare l’articolo costituzionale che abbiamo votato il 9 febbraio. E spiego perché: se non troviamo un accordo sulle questioni istituzionali la situazione rimane quella che è oggi, non credo infatti che l’UE disdirebbe i bilaterali ora in vigore, l’unico problema sarebbe non poterne fare di nuovi, ma salveremmo almeno la situazione attualmente in vigore.”

E se invece non fosse possibile rinegoziare l’accordo di libera circolazione compatibilmente con l’iniziativa Udc? 

“Questo è il secondo scenario possibile, e sarebbe una situazione ben più ‘scomoda’. Infatti io credo che Bruxelles si limiterebbe ad affermare che l’accordo ‘va bene così com’è’, negando la possibilità di modificarlo. A questo punto sarà la Svizzera a dover decidere il da farsi, e il problema sarà tutto di coerenza interna: avremo un articolo costituzionale incompatibile con un accordo firmato con l’Unione europea. La Svizzera quindi, secondo me, tra qualche mese si troverà nella posizione scomoda di dover decidere se procedere con la disdetta, ma sarà un problema tutto elvetico. Se la disdetta dovesse arrivare di conseguenza entrerebbe in vigore la clausola ‘ghigliottina’ che farebbe cadere tutti gli accordi, e a questo punto, riallacciandomi al discorso precedente, anche l’accordo istituzionale diverrebbe totalmente superfluo, visto che serve appunto a regolare gli accordi già stipulati.”

dielle

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