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Politica e Potere
27.04.24 - 23:430
Aggiornamento: 02.05.24 - 08:47

Le dimissioni di Nicoletta della Valle secondo Regazzi, Farinelli e Pasi

Il senatore: “Una decisione discutibile”. Il consigliere nazionale: “Ci vogliono i pentiti di mafia’. Il deputato ed ex procuratore federale: “Si sente la puzza del crimine organizzato. Problema sottovalutato”

Abbiamo chiesto a tre esponenti politici, uno dei quali ha alle spalle una carriera nella Procura federale, di commentare le dimissioni annunciate nei giorni scorsi della direttrice della Polizia federale Nicoletta della Valle. Ecco le loro risposte.

Fabio Regazzi, consigliere agli Stati, il Centro – Sorpreso dalle sue dimissioni

Sono abbastanza sorpreso da questa comunicazione di dimissioni, non tanto perché un alto funzionario abbia rassegnato le dimissioni, cosa che ci può stare e rientra nei normali avvicendamenti, ma per la tempistica. Dopo le critiche che Nicoletta della Valle ha esternato in modo piuttosto vigoroso negli ultimi tempi, anche verso la politica, lamentando carenza di risorse e strumenti per combattere il crimine organizzato, avrei apprezzato che lei stessa iniziasse una discussione con le autorità preposte. E l’interlocutore avrebbe dovuto essere lei, visto che ha fatto insinuazioni piuttosto pesanti, parlando di esponenti politici che intrattengono relazioni con personaggi in odore di mafia.

Invece cosa succede? Dopo una settimana annuncia le dimissioni. Ecco, mi sembra discutibile come modo di fare. Se invece fosse stata invitata ad andarsene sarebbe diverso, ma qui siamo nel campo delle supposizioni che, come tali, non voglio considerare. Di certo il ruolo di capo della fedpol è estremamente delicato e non sarà facilissimo trovare qualcuno che sia in grado di ricoprirlo nei prossimi anni.

Alex Farinelli, consigliere nazionale PLR – Ci vogliono i ‘pentiti di mafia’

Nicoletta della Valle ha recentemente annunciato di voler concludere il suo mandato come direttrice della Polizia federale svizzera (Fedpol), un ruolo che ha ricoperto con dedizione e competenza dal 2014. La sua partenza, annunciata e pianificata, non deve essere interpretata come un segnale di inadeguatezza o di contrasti interni, ma piuttosto come un normale avvicendamento alla guida di un'istituzione chiave per la sicurezza del nostro Paese.

La lotta alla criminalità organizzata rimane una delle sfide più importanti per la Svizzera, e durante il suo incarico, della Valle (insieme al nuovo procuratore generale Blättler) ha contribuito notevolmente a rafforzare le nostre capacità di contrasto a questo fenomeno. La sua strategia ha incluso una serie di iniziative e collaborazioni internazionali che hanno migliorato la nostra efficienza in questo campo.

È importante, quindi, continuare su questa strada, sostenendo politiche efficaci e normative adatte a combattere queste forme di criminalità, ad sempio introducendo una normativa svizzera sui pentiti di mafia, una misura che credo possa rafforzare ulteriormente la nostra lotta contro la criminalità organizzata.

 

Pierluigi Pasi, deputato UDC e già procuratore federale – Segnali sottovalutati

 

Al netto delle congetture sul motivo delle inattese dimissioni del Capo di fedpol, una domanda che deve avere risposta, subito, è perché, nonostante fosse perfettamente noto, per anni il fenomeno “mafie” in Svizzera è stato sottovalutato. Questa circostanza oggettiva, ammessa recentemente dal vertice della stessa fedpol e dunque necessariamente dal Dipartimento federale di giustizia e polizia e dal Consiglio federale, è infatti tanto sorprendente quanto grave. È sorprendente perché i segnali di pericolo lanciati, seppure con la dovuta cautela sin dai primi anni Duemila, dagli addetti ai lavori e raccolti dalla parte, esigua, della politica che li ha amplificati, appunto sono stati sottovalutati da chi aveva competenza e dovere di reagire conseguentemente.

È grave poiché la mancata adeguata reazione, per anni e decenni, ha certamente consolidato il risultato dell’infiltrazione: nella società civile, sempre meno impermeabile, nell’apparato economico e in quello politico e istituzionale. Da tempo, non è più tempo di stare solo a osservarlo questo fenomeno, né di limitarsi a parlarne: è noto, si conoscono i pericoli che ne derivano, si comincia a toccarlo con mano e a sentirne la puzza. Il dovere rispondere a quest’unica domanda sensata dunque non deriva tanto dalla necessità d’individuare precisamente le responsabilità, in parte già facilmente individuabili, del fallimento dell’apparato di prevenzione e di perseguimento penale federale, quanto dalla necessità di reagire subito e adeguatamente.

 

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