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Il Federalista
24.07.24 - 17:300
Aggiornamento: 26.07.24 - 16:03

Elezioni USA. E ora? Max Herber: "Con Trump vs Harris la corsa si riapre"

Dopo il ritiro di Joe Biden e la "promozione" della vicepresidente come candidata Dem alla Casa Bianca, ecco le prospettive della campagna secondo il corrispondente della RSI da Washington

A cura della redazione de ilfederalista.ch

E per finire, i nodi sono giunti al pettine. Joe Biden si è ritirato a pochi metri dal traguardo nella corsa alla Casa Bianca. Una mossa per certi versi attesa ma che giunge dopo mesi durante i quali i democratici hanno preferito ignorare –meglio: nascondere- i problemi di salute del Presidente in carica. Sarà sufficiente per far saltare i dem con Kamala Harris su quel treno per la Casa Bianca che sembrava ormai definitivamente passato?  Sottoponiamo questo e altri interrogativi a Massimiliano Herber, corrispondente da Washington per RSI tv.

Partiamo dal ritiro di Biden. Ora che si è fatto da parte l’uomo la cui credibilità era andata via via scemando nelle ultime settimane, i democratici hanno ancora prospettive di vittoria?
"Occorrono due premesse: oggi, per la prima volta in nove mesi, Donald Trump non controlla più la narrazione di questa campagna elettorale. L’età avanzata come zavorra del candidato democratico non è più un tema, anzi lo è, paradossalmente, a carico dello stesso Trump. Inoltre, va tenuto conto che nel contesto americano, molto polarizzato, il voto è spesso un'espressione identitaria, di “appartenenza”. La cosa più importante non sono tanto i programmi o le idee, ma il carattere, la capacità di galvanizzare, di saper muovere l'elettorato. Detto questo, c'è un dato significativo che mi fa presagire che la corsa, sebbene Trump rimanga il favorito, non sia assolutamente finita. Anzi: si riapre".

Qual è dunque il dato che può rincuorare i dem?
"Questo: che non solo i due terzi degli americani, il 67% stando ai sondaggi, preferiva che Joe Biden non si ricandidasse alla Casa Bianca, ma che anche una buona parte di loro, almeno il 50%, voleva che neppure Donald Trump si candidasse. Quindi, se i democratici riuscissero nel miracolo di non fare più danni, perché finora ne hanno fatti molti -altrimenti non saremmo a questo punto-, teoricamente avranno ancora la possibilità di raddrizzare questa campagna elettorale". 

È comunque innegabile che finora la campagna sia stata a senso unico…
"Sì, ma bisogna anche considerare che finora per i repubblicani la campagna è andata talmente bene - penso a quanto è avvenuto negli ultimi giorni, con Trump che sopravvive a un attentato e con la dimostrazione di forza della convention- che è legittimo credere che abbiano già toccato il loro picco, e che più di così non possano fare breccia nell'elettorato, lasciando quindi spazio e tempo ai democratici per riprendere terreno".

Un verdetto non ancora del tutto deciso, insomma. Ma queste argomentazioni reggono anche di fronte a un candidato come Harris?  
"Per capirlo sarebbe affascinante assistere a una primaria lampo di un mese, chiamiamola così, per essere certi che sia il candidato migliore e sostenuto dalla base. Ma sarebbe troppo grande il rischio di provocare divisioni interne e di spaccare inutilmente il partito. Ora che Joe Biden togliendosi di mezzo ha fatto un favore a tutti, Kamala Harris eredita i fondi raccolti dalla campagna elettorale di Biden e la sua macchina elettorale, che conta più di 1.300 persone". 

Come mai i democratici hanno voluto temporeggiare così a lungo e coprire i problemi di salute di Biden per poi improvvisamente scaricarlo da un giorno all'altro?
"Perché hanno dovuto fare i conti con una persona che ostinatamente, cocciutamente fino all'ultimo, ha detto di sentirsi in grado di continuare questa gara elettorale. Finché è emerso con clamore e in modo evidente che l'età era ormai diventata un problema insormontabile. Visto che la decisione di “scaricarlo” è arrivata dopo le primarie, quindi dopo un processo democratico, l'unica possibilità che avevano i democratici era che Biden si facesse da parte. In queste settimane hanno fatto di tutto per accompagnarlo elegantemente all'uscita affinché prendesse questa decisione. Hanno fatto scendere in campo i pesi massimi, in testa a tutti Nancy Pelosi, e da dietro le quinte, con i suoi silenzi eloquenti, Barack Obama. I leader al congresso gli hanno fatto capire che il rischio non era soltanto di perdere la Casa Bianca, che resta tale anche adesso in realtà, ma di perdere anche la maggioranza del Senato e di non riconquistare la Camera dei Deputati, ciò che significherebbe lasciare all'amministrazione repubblicana, con tutti i timori di svolte autoritarie, il potere legislativo e il potere esecutivo. Senza dimenticare, evidentemente, il potere giudiziario".

Guardiamo invece la questione dall’altro punto di vista, quello dei repubblicani. Come detto, hanno martellato per tutta la campagna sul tema dell’incapacità e dell’inadeguatezza di Biden. Non rischiano ora di trovarsi senza argomenti?
"In effetti, ai repubblicani andava benissimo Biden. Era un avversario perfetto. Ora, evidentemente, affermano che Harris è un candidato ancora più debole. Sicuramente faranno una campagna durissima: useranno il fatto che sia donna, che non sia bianca. Ci saranno inevitabilmente degli attacchi sotto la cintura. Però, in realtà, per loro al momento è un contraccolpo, perché non possono più fare la campagna che avevano in mente di fare prima. L'avversario non è più un presidente, un candidato incapace, troppo anziano. Ora, per la prima volta, devono cambiare musica, perché non possono più imporre i loro temi. Quindi anche i repubblicani adesso si trovano a dover inseguire l'inerzia del confronto e non più dettarne i ritmi. Poi in realtà i sondaggi dicono che se prima Trump guidava comodamente di almeno 3 punti percentuali su scala nazionale davanti a Biden, oggi il margine è più ridotto nei confronti di Kamala Harris. E non sappiamo ancora chi sarà il candidato vicepresidente di Harris".

Una scelta che ora diventa fondamentale?
"Certo, perché le elezioni non si vincono su scala nazionale, ma si vincono con i delegati e quindi è importante sapere in quali Stati si può vincere o perdere. Ed è facile profetizzare oggi che il vicepresidente di Kamala Harris sarà un uomo, tendenzialmente bianco, di uno stato probabilmente in bilico".

Viste queste prevedibili caratteristiche, quali sono i nomi dei papabili?
"La scelta, a mio parere, si riduce fondamentalmente a due Stati e dunque due persone: Pennsylvania con Joshua Shapiro e Arizona con il senatore Mark Kelly".

 

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