di Andrea Leoni
Tira aria di guerra. Di guerra grossa. Quella con protagonisti i duellanti degli ultimi cinquant'anni: Stati Uniti e Russia. Così almeno scrivono e dicono quelli che ne capiscono.
Negli scorsi giorni sono trapelate alcune notizie dai due Paesi. In Russia si fanno scorte di cibo e i civili si esercitano per ripararsi in caso di attacco. Dagli Stati Uniti si fa sapere che è pronto un cyberattacco "senza precedenti" contro il Paese governato da Putin. Lo ha anticipato la NBC e lo ha indirettamente confermato, con una dichiarazione inusuale, il vicepresidente Joe Biden.
Gli americani intendono così rispondere alle intromissioni - dicono di avere le prove - del Cremlino nella campagna elettorale per la presidenza. Affermano che i russi stanno pesantemente brigando a favore di Donald Trump e passano a Wikileaks le famigerate e-mail di Hillary Clinton.
Ma è evidente anche a chi non si occupa di politica internazionale per professione, che l'epicentro dello scontro in realtà è in Siria. Entrambi i Paesi affermano di voler combattere l'Isis ma gli alleati con cui fronteggiano il Califfato sono diversi. Putin fa asse con Assad e l'ex nemico Erdogan, gli statunitensi un po' a caso: con i curdi, alcuni Stati europei "imboscati" e, probabilmente già adesso, con qualche gruppo locale integralista poco raccomandabile.
È più che plausibile pensare che dell'Isis non importi un granché ai due contendenti. Ciò che interessa è avere un peso dominante sulla regione. La Siria val bene una guerra. E se Putin fa la battaglia come la si è sempre fatta - commettendo dei crimini e con alleati brutti, sporchi e cattivi - il premio Nobel per la pace Obama prosegue nel solco della tradizione ipocrita che ha contraddistinto la politica a stelle strisce dall'invasione dell'Afghanistan ai giorni nostri. E anche prima a dire il vero.
Gli americani, e chi li governa, porta inoltre sul groppone il "peccato originale" di questo incendio e di questo contagio di fanatismo: l'attacco all'Iraq e, successivamente, alla Libia.
Ma non è della crisi di quei Paesi così vicini e così lontani il tema di questo articolo. È di questa strisciante guerra grossa, che vogliamo scrivere.
Leggendo le notizie degli scorsi giorni, di cui abbiamo accennato in principio, la sensazione di non avere gli anticorpi è stata potente.
Come capire quanto è fondata e quanto è vicina? Come riconoscerla? Qual è la distanza tra un cyberattacco e un raid aereo? Che odore ha questa guerra?
La maggior parte di noi non ne sa nulla. Sovviene Fabrizio De Andrè ("e tu/tu la chiami guerra/ e non sai che cos'è"). Quelli che l'hanno vissuta in prima persona, qui, nel cuore dell'Europa, sono quasi tutti morti. Forse gli slavi potrebbero darci qualche dritta o qualche migrante.
Le generazioni di europei che sono seguite alla seconda guerra mondiale non hanno combattuto. Cioè non hanno ucciso, non hanno patito la fame o la paura di un bombardamento. I conflitti li abbiamo visti solo in Tv o al cinema. Che ne sappiamo noi dei carroarmati per le strade…
Senza contare ormai che l'Occidente la guerra la fa con gli aeroplani o, peggio, con i droni: macchine pilotate da soldati con un joystic a migliaia di chilometri di distanza per uccidere le persone. E poi, una volta conclusa la missione, tutti a cena in famiglia o a giocare a bowling. Come fosse un videogioco.
Ma qui siamo già oltre. Siamo al combattimento. A mettere i brividi basta "il prima", ciò quello che stiamo vivendo adesso. "Se verrà la guerra, marcondiro'ndero" , noi ce ne accorgeremo?