di Andrea Leoni
La Svizzera ha cominciato a vincere la partita contro la Francia dopo la “scoppola” subita con l’Italia. Le scuse pubbliche di Vladimir Petkovic, i cambi di formazione e le correzioni tattiche che hanno ridato equilibrio, solidità e criterio alla squadra, le critiche che hanno punto nell’orgoglio i singoli e il gruppo, ricompattandolo, hanno gettato le basi dello storico successo contro i campioni del Mondo.
“La Svizzera ha il dovere di crederci ancora”, avevamo scritto dopo la disfatta contro gli azzurri e fa sorridere oggi ripensare a quei disfattisti - in gran parte mossi dal troppo amore per la Nazionale, quindi pienamente assolti - che non avrebbero neppure voluto giocare la partita contro la Turchia e invocavano l’esonero immediato del CT. La logica del “tanto peggio, tanto meglio”, produce solo disastri, nella vita come sul campo. E nel calcio non è mai finita fin quando non è finita. Vale per le partite, per gli allenatori, per i calciatori. L’Italia ha vinto un Mondiale, e perso una finale, qualificandosi come miglior terza. Vlado, che aveva fatto disastri nei primi due match dell’Europeo, lunedì ha impacchettato la partita dando una lezione di calcio a Deschamps e ai suoi Avengers, cioè ai primi della classe.
La Svizzera ha giocato una partita difensiva spettacolare: l’unico approccio possibile contro una squadra nettamente più forte nelle individualità (e alla faccia di chi dice che non può esserci bellezza nel sapersi difendere). Due linee strettissime in fase di non possesso a soffocare con la densità ogni spazio e ogni sussulto di talento ai fuoriclasse francesi (che sacrificio da parte degli attaccanti rossocrociati!), per questo spesso costretti allo sterile passaggio orizzontale o all’indietro; pressing alto non sistematico ma esercitato con giudizio; organizzazione scientifica e armoniosa nei movimenti di squadra; coraggio, personalità e determinazione nel palleggio, nella giocata individuale e nel sapersi proporre in avanti con 4-5 uomini quasi ad ogni possesso palla.
Sembrava una livella la Svizzera, capace di rimanere sempre in bolla nei vari sali e scendi della partita. Non sottovaluterei la partita della Nazionale da un punto di vista tecnico, che è il presupposto fondamentale di ogni articolazione del gioco, altrimenti è solo improvvisazione, catenaccio alla viva il parroco, una supplica alla fortuna. Nutrivo delle riserve, e le avevo espresse, sulla qualità media della rosa dopo le prime 3 partite: felice di averle viste evaporare.
Due parole sui calciatori, allora, in una partita dove è difficile pescare i migliori tra i migliori. Per me Elvedi, Zuber e Seferovic. E poi Xhaka, che merita sempre un discorso a parte. Il capitano della Svizzera ieri sera è stato autore di una partita monumentale. La Nazionale ha giocato alla frequenza del battito del pensiero e del cuore del suo capitano, ispiratissimo nelle idee e nei sentimenti. Impressionanti la lucidità, la vigoria agonistica e la precisione mantenuta fino all’ultimo tempo supplementare. I 3 secondi (riguardateli) che conta prima di servire in profondità Gravranovic sul gol del pareggio, sono la bacchetta del direttore d’orchestra quando detta l’entrata del solista in partitura. Poesia da metronomo, ode allo spazio e al tempo, la formula essenziale del gioco. Confermo il giudizio complessivo su Xhaka: un buon giocatore e non un campione. Con una nota a margine: sa giocare grandi partite. Credo sia questa la sua dimensione, l’unità di misura con la quale giudicarlo correttamente, senza fare torti né al calcio né a lui.
Ma la lezione più importante appresa dalla Nazionale nel girone e messa in pratica in modo sublime contro la Francia, è che nei 90 minuti - o addirittura nei 120 - ci sono due, tre, quattro partite, da interpretare in modo diverso. La Svizzera le ha giocate e vinte tutte con merito, riuscendo addirittura a rimanere aggrappata alla gara anche dopo aver sbagliato un rigore destabilizzante da un profilo psicologico, o quando si sono manifestati gli X-man e hanno sfacciatamente ribaltato il risultato con l’ingiustizia propria dei fuoriclasse (il controllo sul primo gol di Benzema attiene alla fantascienza, non alle cose umane). Non si possono avere ambizioni da vertice, se non si riesce a rimanere sempre nella partita, capiti quel che capiti. La Svizzera, da questo profilo, è pronta per essere una grande squadra.
Ora c’è la Spagna e sembra tutto più facile dopo aver battuto i campioni del Mondo. Una sensazione da scacciare, il primo errore da non commettere. Come eravamo stati profeti dell’acqua calda nel prevedere che le polemichette sui capelli ossigenati e le automobili, sarebbero state spazzate via dal vento di una grande vittoria, ci sentiamo di predire altrettanto facilmente che l’euforia è il peggior avversario della Svizzera da qui a venerdì. L’entusiasmo della vittoria contro la Francia va incanalato verso l’alto. Perché dai quarti, per tutte le squadre, la strada sarà più in salita e non i discesa. Ed è questo il bello di essere tra le prime otto d’Europa.