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26.03.17 - 11:240
Aggiornamento: 19.06.18 - 15:41

'Bestie di scena' al LAC, una recensione oltre la prurigine e lo scandalo: "La nudità non è spettacolarizzazione di peni e vagine, ma la condizione dominante, lo stato universale che annulla le differenze, l'elemento di condivisione. Un corpo unico senza

Nicoletta Barazzoni torna sul discusso spettacolo andato in scena al LAC: "In questa opera di Emma Dante c'è l'animalesco, l'inciviltà e la barbarie, ma c'è anche la tenerezza, lo sperdimento, il dolore fisico e mentale"

di Nicoletta Barazzoni *

Il balletto o meglio la scena iniziale di Bestie in scena di Emma Dante scandisce la ripetitività di gesti e movimenti che tutti gli attori compiono all'unisono. Come automi essi seguono passi alienati da una musica ripetitiva, compiendo movimenti sincronizzati e dando l'idea di omologazione e mancanza di espressività dei singoli individui, che seguono il gruppo e rispondono a un'imposizione, che li priva della loro autonomia.

Pochi attimi dopo la nudità è la normalità. Poi a turno gli attori ballerini iniziano a spogliarsi, coprendosi le parti intime proprio per marcare il loro stato d'animo ma soprattutto il loro pudore nell'essere nudi.
Perché la nudità non è spettacolarizzazione di seni, culi, vagine e peni ma rappresenta innanzitutto la bellezza e la purezza umana, con la potenza della vita ma anche la sua grande fragilità e vulnerabilità.

Gli attori si coprono con le mani il pube, che poi si coprono vicendevolmente tra loro, in un gesto di solidarietà e di rispetto. Come simbolico è il gesto di scambiarsi l'acqua, raffigurazione e fonte di vita per eccellenza. Per essere poi, durante il resto dello spettacolo, integralmente nudi.

Ed è così che la nudità diventa la condizione dominante, lo status esistenziale, l'elemento di condivisione, un linguaggio universale che annulla le differenze per sottolineare il senso d'appartenenza a una comunità, a una collettività ma soprattutto a un insieme di individui nati liberi ma ovunque in catene.
Quella collettività in cui gli esseri umani, pur nell'eterogeneità dei loro corpi, si riconoscono e in cui esprimono stati d'animo come la paura, l'aggressività, gli istinti bestiali e primordiali.

Nella nudità il singolo scompare per fondersi in un solo e unico corpo fisico ma anche antropologico, impaurito all'incombere del pericolo, con spari e frastuoni che provengono dal nulla.

In questa opera di Emma Dante c'è l'animalesco, l'inciviltà e la barbarie, ma c'è anche la tenerezza, lo sperdimento, il dolore fisico e mentale. Alcuni attori si staccano a turno dal gruppo, non per rivelarsi dei leader bensì anime perse che attraverso i loro movimenti esprimono la loro sofferenza.

Non c'è gerarchia in questo unico corpo, privo di colore se non quello epidermico che per la sua drammaticità, mi ha ricordato i deportati dei campi di concentramento, nel loro ballo mortale. Perché quell'essere nudi, schiacciati gli uni contro gli altri dal terrore, paralizzati dall'incognita della follia, è un'immagine collettiva che racchiude un dramma intangibile, effige del male e del terrore. Perché quando si è nudi si è privi di difese e dignità.

L'assenza di parole impone allo sguardo una visione forte, che indaga il significato della nudità nel suo aspetto più dimostrativo e evocativo, tanto da trasferire nello spettatore il disagio di essere vestiti di fronte a un nudo che non scatena fantasie erotiche. Un disagio vestito di ipocrisia, di indifferenza o dell'incapacità di percepire i propri simili come esseri nudi, e uguali a noi.

* giornalista

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