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Politica e Potere
03.11.21 - 08:220

Sergio Morisoli: "Il libro rosso, 23 anni dopo quello bianco"

Il capogruppo UDC: "I socialisti ufficiali e quelli nascosti negli altri partiti ci hanno già fatto perdere quasi un quarto di secolo, speriamo non ce ne rubino un altro" 

di Sergio Morisoli*

Non mi piace parlare di passato, ma a volte serve. Qualche anno fa, era il 1998, Il DFE pubblicò un libro particolare che nel linguaggio volgare fu definito “libro bianco”, mentre il suo titolo esteso era Ticino 2015: libro bianco sullo sviluppo economico cantonale nello scenario della globalizzazione. Ne fu detto e scritto peste e corna. I più buoni dissero che era un manifesto del liberismo sfrenato a favore dei soliti ricchi, i più cattivi dissero che era un manuale per distruggere il Ticino. I media lo distrussero prima ancora di sfogliarlo, e i partiti lo distrussero quando era ancora nelle rotative, compresa una parte del partito di chi il libro lo volle.

Da allora sono passati ormai 23 anni e quasi 6 Governi. Ogni tanto, qualche politico, per sentito dire e non perché l’abbia mai letto, fa riaffiorare ricordi o riferimenti a questo libro, specie quando vuole connotare negativamente un avvenimento o una proposta politica che anche solo lontanamente profuma di libero mercato, di responsabilità individuale, di sussidiarietà, di società civile che dovrebbe riprendersi in mano il futuro senza consegnarsi nelle braccia dello statalismo. Ecco che allora scatta in “marchio infame” e si dice “roba da libro bianco”. Chi lavorò, permettetemi c’ero anch’io, a quel libro non aveva sbirciato né nelle carte della provvidenza né in quelle del destino (Wilhelm Röpke). Semplicemente, anziché partire da concetti ideologici già vetusti a fine anni ‘90 (destra sinistra, e via dicendo), ci si mise ad osservare la realtà per quello che era e ci si mise a capire i segnali che la realtà mandava verso il primo decennio del nuovo secolo. Dopo le 101 misure (lotta all’emergenza economica degli anni ’90) occorreva un progetto di sviluppo più ampio e strutturato.

Oggi, siamo ormai a sei anni dopo il 2015, anno in cui le misure avrebbero dovuto iniziare a generare un benessere diffuso. Dove saremmo, cosa faremmo oggi se politica, società civile e cittadini avessero sposato il concetto di Patto Paese (leggete quel capitolo pag.225, se avete voglia) lanciato allora? La risposta non c’è, e la prova del nove nemmeno. Allora, si poneva però la scelta tra il rilancio competitivo che si spiegò benissimo in cosa consistesse e il declino controllato spiegato altrettanto bene. Fu deciso di maledire il libro e chi lo scrisse, e “per anni non vi leggemmo avante…”; e non se ne fece nulla. Anzi, la scelta di far nulla non fu neutra e priva di conseguenze perché ha portato a dover scegliere oggi, a 23 anni di distanza, tra declino controllato e declino non controllato (e la scusa del Covid non c’entra).

Ecco alcuni dati del decennio, inattivo, che abbiamo dietro le spalle, è una noia ma leggeteli. Il malessere sociale è in costante crescita: Welfare index + 22.1%, Disoccupazione ILO + 33.1% (da 9’190 a 12'231), Assistenza + 54.4% (da 6'136 a 9'474), Emigrazione lavorativa estero e inter-cantonale + 35.4% (da 2'460 a 3'332), Persone rischio povertà + 43.5% (da 59'900 a 84'522). Il mercato del lavoro è saccheggiato: gli occupati totali sono cresciuti del + 17% (da 199'700 a 233'800) ma, l’occupazione di stranieri + 36.1% (da 89'570 a 121'900), l’occupazione degli svizzeri e degli stranieri domiciliati – 2.7% (da 141'367 a 139'482), l’occupazione dei frontalieri + 56.9% (da 44'160 a 69'300), l’occupazione dei dimoranti + 72.3% (da 12'960 a 22'340), l’occupazione degli interinali stranieri +103.8% (da 7'088 a 14'445). Le ricadute della crescita economica e del grosso aumento della spesa statale sono modeste e insufficienti per correggere la crisi strutturale: PIL +18.4%, (26'504 mio a 31'406), PIL pro capite + 9.6% (da 79'913 a 87'612), Esportazione -12% (da 8'302 mio a 7'300 mio), pernottamenti in albergo – 16.2% (da 2,755 mio a 2,309 mio), reddito da lavoro: salario mediano + 4.7% (da 4'929 a 5'163), salario mediano mensile degli accademici -15.4% (da 8'016 a 6'784), salario mediano dei non qualificati + 18% (da 3'380 a 4’017), reddito imponibile inferiore a 100'000 delle PF + 3.9% (da 5.835 mia a 6.065 mia) , reddito aziendale: gettito imposta utile e sostanza -13% (da 308 mio a 279 mio), gettito in alcuni settori chiave – 23% (da 269 a 203 mio), spesa corrente annua + 23% (da 2'606 mio a 3'200 mio), sussidi netti versati annui +48% (da 903 mio a 1'336 mio), indebitamento dello Stato + 54% (da 1'216 mio a 1'878 mio).

Rileggendo il Libro bianco, con distacco e ormai in altre circostanze, vi ci si può però scoprire che tre quarti delle previsioni fatte per il primo decennio del XXI secolo sull’economia mondiale, europea, asiatica e svizzera si sono avverate. Vi si può leggere che le misure proposte per il Ticino e mai attuate, salvo quelle sul cantone della conoscenza (USI, SUPSI, e laboratori, campus), sono invece state la chiave di successo e sviluppo per quei Paesi e per quelle Regioni (anche svizzere) che chiamandole in altro modo le hanno adottate. Avessimo intrapreso la realizzazione di alcune di quelle misure, avessimo stabilito un patto paese, oggi non tremeremmo per la piazza finanziaria, non avremmo paura dei frontalieri, non passeremmo il 10% del giorno incolonnati, e non dovremmo sopravvivere con dumping, disoccupazione, lavoro precario e malessere sociale diffuso; non ci sbraneremmo per rubarci le fette di una torta sempre più piccola. Non sogneremmo per il 2030 paradisi di decrescita economica inclusiva, sostenibile e accoglienti, per evitare di affrontare la realtà per quella che è.

È vero, con i se e i ma non si va da nessuna parte; e non si sa come sarebbe andata a finire. Ma si sa come è e come purtroppo sembra andrà a finire da qui al 2030 senza un’idea, senza un progetto di riforme strutturali simile a quello di allora (perché non scongelarne alcune?). Riforme contro le quali, una processione ventennale e chilometrica di cecchini statalisti, si è sempre opposta. Soluzioni alle quali, nemmeno 6 Governi di fila hanno mai saputo o voluto proporre alternative. Nostalgico? Forse. Realista? Molto.

In mancanza d’altro alcuni rimedi sarebbero possibili già dall’anno prossimo e non nel 2030.  Ecco un altro piano, non socialista. Come sarebbe col cominciare a: mantenere i posti di lavoro che già ci sono? Difendere i lavoratori ticinesi? Premiare chi vuol fare? Togliere i bastoni statalisti dalle ruote di chi già fa e rischia? Sfoltire le leggi? Valutare i risultati dell’interventismo statale? Lasciare più soldi in tasca ai cittadini? Abbassare le imposte alle ditte radicate in Ticino? Attirare i ricchi che pagano imposte al nostro posto? Chiudere un po’ i cancelli trans frontalieri del mercato del lavoro? Tradurre in pratica intelligente il “prima i nostri”? Smetterla di spendere e spandere i soldi degli altri? Abbattere posti burocratici inutili e clientelari? Aiutare chi davvero ha bisogno? Piantarla di buttare debiti sui ragazzi che sono ancora a scuola? Spegnere i sussidi self-service a pioggia? Dargli un taglio con i “soldi ci sono basta andarli a prendere”? Fare una riforma scolastica vera, e non la lotta di classe? Riformare la socialità che fa acqua da tutte le parti? Smetterla di “stampellare” con i sussidi quelle ditte e attività cotte e decotte? Mollare il finto buonismo multi-culti e invece integrare di più chi vuole assumere la nostra cultura, usi, costumi e regole? Amare di più il nostro Paese, i nostri Cittadini e difendere il modello svizzero? Promuovere la società civile per ridurre lo statalismo? Decentrare ai Comuni più responsabilità e competenze?

Anche queste sono 24 misure, che necessitano però di meno Stato e non di più Stato. O meglio di più Stato intensivo e meno Stato estensivo, come diceva il Libro bianco. Tutte queste cose elencate le possono decidere benissimo e in tempi brevi i nostri politici di esecutivo e di legislativo. Senza creare i soliti gruppi di super esperti. A una condizione, che tornino ad avere il coraggio per assumere il ruolo di politici e non svolgere il ruolo di amministratori che avvallano le proposte della burocrazia statale. Del resto, se si volesse guadagnare tempo, efficienza ed efficacia ci sarebbero già depositati e ancora pendenti, una sessantina di atti parlamentari del gruppo UDC che vanno in questa direzione. Vedremo.

Per ora i socialisti ufficiali e quelli nascosti in tutti partiti, quelli che il progresso significa ormai passare “dal tassa e spendi” allo “spendi e tassa”, dal consumismo privato al consumismo pubblico, dai desideri individuali alle pretese collettive; proveranno a imporci il loro libro rosso dei diritti senza i doveri, della libertà senza responsabilità. Ci hanno già fatto perdere quasi un quarto di secolo, speriamo non ce ne rubino un altro. 

*Capogruppo UDC in Gran Consiglio

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