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Politica e Potere
20.11.19 - 08:580

Sovranismo, populismo, contribuenti. Morisoli: "Ecco il vocabolario alla base della vittoria di Marco Chiesa"

Il capogruppo UDC in Gran Consiglio ci scrive: "Per salvare il ceto medio occorre: proteggerlo dai cambiamenti dannosi, lasciargli più soldi in tasca, assicurargli un lavoro dignitoso"

di Serio Morisoli*

Domenica abbiamo vinto, un successo elettorale enorme per un partito e per i candidati che partivano da un 5.7% di peso elettorale cantonale. Una traiettoria più simile a quella di un razzo che a quella evolutiva della natura. Ma ci sta tutto; i commenti dei vincitori e degli sconfitti; ci stanno le presunzioni o le supponenze di chi sa sbirciare nelle carte del destino o della provvidenza; ci stanno tutti i se e i ma che gli avvenimenti eccezionali portano con sé. E’ normale, umano, che a spiegare la vittoria siano sempre più bravi a farlo chi ha perso di chi ha vinto.

La ragione è semplice: chi ha vinto non deve spiegare nulla. Figuriamoci in una disciplina umana irragionevole, irrazionale, imprevedibile come le elezioni. Chi può erigersi a oracolo di Delfi? Per questo nemmeno io mi addentro in un esercizio insipido, e in definitiva inutile. Le vittorie sono il punto di partenza da capitalizzare per far qualcosa e non il punto di arrivo per dirsi quanto si è stati bravi. Dalle elezioni occorre ora tornare immediatamente a produrre politica. Noi l’abbiamo definita: liberalconservatrice. Nel senso di libertà economica e di conservazione dei valori e delle regole che hanno fatto grande la Svizzera. Una politica orientata a un pubblico ben preciso: il ceto medio. Nel senso dei cittadini dimenticati, già più volte da noi definiti e identificati.

Ma tutto questo non vale nulla se non ci accorgiamo di cosa ci sta attorno: della realtà. Se non ci confrontiamo e non ne estraiamo l’ispirazione e l’energia per tentare di fare ciò che ogni cuore umano desidera: modificarla in meglio. La politica non è il solo strumento per farlo, per fortuna, ma è uno tra i tanti e questa consapevolezza può essere un primo passo nella giusta direzione. La base solida per dirci non perfetti ma perfettibili, fallibili e non infallibili. Per produrre “buona” politica non si scappa, bisogna ammettere che la realtà non bara e che è inutile, se la realtà non corrisponde alle nostre formule, truccarla per farcela entrare. Ecco che quindi val la pena buttar là qualche flash che caratterizzano questa realtà di questo inizio secolo XXI.

Punti assolutamente non esaustivi, imperfetti e opinabili; ma pur sempre concreti. Punti che a volte si vedono e a volte non si vedono, come diceva Fréderic Bastiat. Punti in definitiva pochi, rispetto alla loro totalità. Punti però che non si possono evitare, scansare, far finta di niente. Media, politica e accademia li evitano o se li incontrano gli danno un nuovo nome, compongono perifrasi che possano piacere al politically correct, forma di totalitarismo post moderno. Così facendo se ne perde la vera consistenza e si smarrisce la loro traiettoria.

Sovranismo: è la risposta alla politica anonima e astratta che cancella le “IDENTITA’ ”. I confini geografici non ce li siamo dati noi, ma quelli politici si. Non sono lì per caso, sono la risultante di processi storici, di interessi e di tradizioni che ci permettono di separare ciò che è nostro da ciò che è loro. Finché ci saranno i confini abbiamo la libertà, il diritto e il dovere di difendere e di decidere su cosa sta al di qua. Si chiama principio di proprietà in senso lato. Non possiamo voler determinare il nostro destino noi stessi, e non avere le condizioni pratiche e materiali per farlo.

Populismo: è la risposta alla politica fattasi elevare a “SALVEZZA”, incapace poi di mantenere le promesse. Se abbiamo nel tempo scartato le opzioni monarchiche, aristocratiche, anarchiche e totalitarie per scegliere la democrazia, non possiamo non dirci populisti. Chi non lo è, in buona o mala fede, per fare in modo di avere più voti e avere la maggioranza e ottenere più potere in democrazia? Si chiama principio di rappresentanza e di legittimità. Non possiamo dare il primato politico al popolo e impedire il suo carattere populista.

Protezionismo: è la risposta alla politica del sempre “PRIMA GLI ALTRI”.Se non si ha nulla da proteggere non serve essere protezionisti; i nullatenenti non sono protezionisti. Se invece abbiamo qualcosa a cui teniamo, a cui diamo importanza non lo lasciamo alla mercé degli avvenimenti o incustodito. Se gli altri esercitano il protezionismo come si può rimanere immobili con le porte aperte? Si chiama principio di reciprocità. Non possiamo preservare, valorizzare e promuovere qualcosa senza proteggerlo e subire l’esproprio a senso unico. Ma dentro a questi moti perpetui ci sono delle persone, delle vite, dei volti, dei nomi e dei cognomi: il ceto medio con i suoi cittadini dimenticati. Cittadini che a seconda del loro ruolo si trovano in categorie umane in emergenza.

Famiglie tradizionali: penalizzate. La famiglia non è più riconosciuta come la cellula fondamentale, primaria e libera che tiene assieme la società. È diventata solo una opzione tra molte a causa del relativismo del ruolo uomo donna, dell’ideologia gender, del libertinismo dei costumi, di modelli di famiglia aperta/patchwork premianti. Alla famiglia va, via via sostituendosi lo Stato con leggi e soldi che favoriscono la famiglia come cellula unicamente procreatrice ma non più educatrice e sviluppatrice di personalità. Fiscalmente le famiglie tradizionali sono penalizzate.

Imprenditori e aziende serie: demonizzati. Le aziende, e l’imprenditoria e il lavoro in generale, sono diventate un male necessario (di marxiana memoria). Per questo la politica non valorizza più il fare, il rischiare e il lavoro; i media mettono l’accento sempre solo sulle negatività prodotte dall’economia. L’imprenditoria è nella migliore delle ipotesi tollerata ma non riconosciuta, anche perché non viene fatto abbastanza per denunciare e punire il banditismo imprenditoriale che, seppur minoritario, contagia la parte maggioritaria e buona della nostra economia.

Lavoratori: precari. I lavoratori sono diventati una “merce” di scambio (al prezzo più basso), non sono più una risorsa umana da sviluppare, da radicare nell’azienda e nel territorio locale. Loro stessi sono però molto spesso “mercenari” alla ricerca del soldo. Domanda e offerta sono sfasate, e la concorrenza al ribasso è ingovernata a causa della sproporzione di forze tra “di qua” e “di là” del confine. Il sistema della preferenza indigena è saltato agli inizi degli anni 2000 con l’entrata in vigore dell’accordo di Libera circolazione delle persone.

Giovani: smarriti. Non si sentono il ricambio generazionale, i prosecutori di una tradizione e i ricettori di un’esperienza. Sono atomizzati e non concepiscono il futuro all’infuori dell’individualismo di breve termine. Gli adulti e la scuola li allevano senza orizzonti, senza desideri. Manca un metodo orientativo ed una educazione alla realtà, all’eccellenza e alla competizione, al bello al giusto.

Contribuenti: strizzati. Non sono persone e aziende, sono ormai procacciatori di soldi per lo Stato. Basta dire che da 16 anni non ci sono più sgravi fiscali né per le persone fisiche e né per le imprese. Il contribuente è uno strumento per riempire le casse, il moltiplicatore e le proposte di aumentare le tasse e i balzelli lo confermano. La ricchezza viene ridistribuita e consumata prima di essere prodotta, i debiti li dovrà rimborsare il ceto medio e la prossima generazione attraverso nuove tasse e balzelli.

Piccoli proprietari privati: puniti. Le leggi, i sussidi e gli aiuti vanno a beneficio di chi non è proprietario, chi è proprietario è ritenuto una sorta di associale siccome possiede quando altri non possiedono. Per questo aumentano le stime immobiliari, i balzelli sulla proprietà privata, i valori fiscali di locazione al punto tale che chi non ha nulla sta meglio di chi ha qualcosa. Mina alla radice, oltre che la propensione al risparmio, l’attaccamento ad un posto, ad una terra, a una rete civica e umanamente solidale.

Società civile: schiacciata. A furia di delegare compiti e responsabilità alla politica e quindi allo Stato, la società civile si è svuotata di senso e di energia. Nella migliore delle ipotesi è tollerata ma mai riconosciuta come un elemento di congiunzione formidabile per smorzare gli eccessi del collettivismo statale e dell’individualismo privato. E men che meno come determinante produttore diretto di servizi pubblici non statali. Detto questo, è impossibile applicare alla combinatoria delle circostanze e delle situazioni, la logica della causa-effetto, si confondono e si mutano di ruolo. La tecnologia ha fatto saltare lo spazio, il tempo e la speranza.

Potremmo continuare, ma per incidere nella realtà poi si devono fare delle scelte. Noi l’abbiamo fatta e ci muoveremo per salvare il ceto medio, individuata come quella categoria umana che tiene assieme il tutto. Forse, anzi è probabile che l’elettore non sappia tutto questo, ed è quasi scontato che ci abbia votato proprio perché non sapeva tutto questo. Ha però intuito, percepito che ci stiamo occupando di far stare meglio lui, i suoi cari e i suoi amici. Ha capito che quando andiamo in giro a dire che per salvare il ceto medio occorre: proteggerlo dai cambiamenti dannosi, lasciargli più soldi in tasca, assicurargli un lavoro dignitoso, dargli un’eccellente educazione per i figli, valorizzare le sue iniziative dal basso, togliergli i bastoni dalle ruote se vuole fare; non facciamo finta ma sul serio.

I cittadini forse hanno punito chi il potere ce l’ha avuto e ce l’ha ancora ma non lo usa per farli star meglio. Pur non avendo questo potere, noi ci affatichiamo a trovare soluzioni per cercare di far godere i cittadini di una buona vita perseguendo possibilmente una vita buona. prima, durante, ma soprattutto dopo le elezioni.

*capogruppo UDC in Gran Consiglio

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