Redazione de Il Federalista
Nella prima metà dell'800 l'impero britannico, per piegare la Cina, ideò un'odiosa politica di diffusione clandestina dell'oppio tra le popolazioni del Celeste impero. Quanto accade oggi con la straordinaria penetrazione dell'algoritmo cinese nei cervelli dei giovani occidentali configura una sorta di nemesi. Gli Stati Uniti cercano di correre ai ripari, ma furono i miliardari della Silicon Valley a investire i capitali in ByteDance e oggi sia Biden che Trump non possono fare a meno della sua piattaforma. La storia di TikTok disegna un arco che conduce dal massimo fulgore della globalizzazione alla sua crisi e al ritorno dei capitalismi nazionali. Ma dove si nasconde il fascino di questa piattaforma che ha messo in ombra gli altri social e viene usata da aziende e politici anche se accusata (giustamente) di essere, oltre che strumento di alienazione, anche veicolo di disinformazione?
Quella di TikTok è una storia che si presta a diversi piani di lettura, tecnologico, culturale, economico-finanziario, giudiziario e geopolitico. Sovrapposti, questi filtri ci permettono di leggere quanto è accaduto sull’arco di una decina d’anni: dall’apogeo della globalizzazione, favorito dall’interconnessione e dal reciproco arricchimento tecnologico e finanziario tra Cina e Stati Uniti, al momento di forte tensione e (difficile) disaccoppiamento che abbiamo oggi sotto gli occhi.
Perché difficile? Perché se è vero che il Congresso USA intende mettere al bando TikTok qualora l’azienda non venga americanizzata, è altrettanto vero che le istituzioni di una democrazia consentono il ricorso ai tribunali che –com’è già accaduto- possono ritardare o annullare l’esecuzione degli atti legislativi.
D’altra parte è forse meno noto come siano gli stessi milioni di utenti statunitensi dell’applicazione a ribellarsi alla volontà dei politici di entrambi i fronti, mossi da imperativi di “sicurezza nazionale”. E ancor meno noto è che se Biden da una parte sa di non poter fare a meno di TikTok per la sua campagna elettorale, dall’altra i finanziatori di Trump sono tra gli azionisti dell’azienda sino-americana che produce la “droga” dei mini video di 15 secondi (frammisti a informazioni spesso manipolate).
La "Guerra dell'oppio" alla rovescia
Intanto, quel che sta accadendo, su un piano culturale e psico sociale, può essere descritto come un simmetrico rovesciamento della “Guerra dell’oppio”.
Alludiamo a uno dei più cinici e spregiudicati capitoli del colonialismo britannico, ovvero il tentativo di piegare le autorità cinesi alla penetrazione commerciale della “Compagnia delle Indie orientali” attraverso la diffusione clandestina e massiccia della sostanza stupefacente in Cina durante la prima metà dell’800 (1839-1842 e 1856-1860 sono le date delle due “Guerre dell’oppio”).
Vale la pena riportare qualche riga della famosa Lettera alla Regina Vittoria vergata da Lin Zexu, consigliere dell’Imperatore Daoguang (1838).
"Le vostre navi accumulano immense ricchezze dai nostri prodotti. Per quale ragione devono darci in cambio una droga velenosa? Non vogliamo dire che lo facciano con l'intenzione di distruggere il nostro popolo, bensì solo per una smodata sete di guadagno. Nel vostro Paese l'oppio è severamente proibito. Se non permettete che avveleni il vostro popolo, perché volete che avveleni il nostro? (…)
Se degli stranieri vendessero oppio in Inghilterra e inducessero gli inglesi a fumarlo, non ne sareste indignati? Vostra Altezza ci informi urgentemente sulle misure che intendete prendere per porre freno a questo male".
I danni e gli affari
Il candore e la sincerità del diplomatico pechinese furono contraccambiati di lì a poco dall’invio delle truppe britanniche, che imposero con la forza sia le loro regole commerciali che la stessa legalizzazione dell’oppio (in Cina),
La situazione appare rovesciata ed è ora l’algoritmo di TikTok, con il forte potere di assuefazione che esercita sui giovani, a rappresentare l’oppio dei nostri tempi.
E come allora -al di là della cortesia orientale del buon Lin Zexu- l’intento dei mercanti inglesi coniugava la “smodata sete di guadagno” al disegno di indebolire la popolazione cinese (come fu unanimemente riconosciuto dagli storici), oggi è innegabile che i colossali affari garantiti da TikTok si intreccino con la perfidia di un Governo autoritario, quello di Pechino, consapevole dei danni provocati nei giovani dalla dipendenza alienante alla piattaforma di ByteDance (come comprova, del resto, la modifica dei contenuti di TikTok nella versione destinata al mercato interno cinese).
Tuttavia, se appare innegabile che con la musica ripetitiva e i balletti infantili il Partito comunista cinese abbia invaso le teste dei nostri giovani (e non solo di quelli americani), le cose si complicano qualora si cerchi di sciogliere l’intreccio di affari che muove sin dall’origine la macchina di Tik Tok.
Fu infatti l’opportunità di entrare nello sterminato mercato cinese che mobilitò sin dalla metà degli anni dieci del 2000 i grandi capitali americani legati ai nomi dei padroni della Silicon Valley.
Il ritorno ai capitalismi politici
Nel 2014, quando ByteDance è valutata a 400 milioni di dollari, il suo principale investitore è Sequoia Capital China, sezione cinese di uno dei principali fondi di capitali-rischio della Silicon Valley.
Oggi ancora, nel complesso gioco di scatole… cinesi che costituiscono la proprietà di ByteDance (la cui valutazione supera i 300 miliardi), una parte importante delle azioni è detenuta da grossi finanzieri statunitensi (tra i quali un noto finanziatore del Partito repubblicano e dello stesso Donald Trump, Jeffrey Yass).
Ma tornando all'oggi, se Pechino, da parte sua, protegge accanitamente il ruolo dei propri “capitalisti”, che sostiene e di cui controlla da vicino ogni mossa (in papale violazione delle regole del libero mercato), a Washington l’atmosfera, come detto, è ormai dominata dalle diffidenze e dai malumori, sia politici che giudiziari.
Dall’epoca della fiduciosa globalizzazione siamo transitati nell’epoca dei nazionalismi tecnologici e dei capitalismi politici, caratterizzata da un clima di rivalità tra le due sponde del Pacifico –con l’Europa da fare da “legume”, per usare un’espressione del generale De Gaulle. A farne le spese –questo è certo- è sempre più l’autonomia della persona e la sua libertà.
Ma entriamo ora nei meccanismi di TikTok e diamo un occhiata al funzionamento dell’algoritmo di raccomandazione che lo governa, con il solo innocente fine dell’intrattenimento perpetuo
Come siamo stati tiktokizzati
TikTok ha in qualche modo cambiato il nostro modo di comunicare, portando all’evoluzione del concetto di “viralità” introdotto pochi anni prima dai grandi social come Twitter e Facebook. A loro volta i social tradizionali si sono tiktokizzati (concetti simili ai video di TikTok sono ora fruibili sui social Meta -Instagram e Facebook – i Reels) – e su YouTube di Google-Alphabet (Shorts).
Per cominciare, come spiegato da un approfondimento del New York Times, il social cinese ha letteralmente trasformato il nostro modo di fruire dei contenuti video sul telefono cellulare.
Prima dell’avvento di TikTok i video sul telefonino mimavano i formati, orizzontali, di cinema e tv: TikTok ci ha fatto girare il telefono. Ha inventato i video verticali, che fino a pochi anni fa erano quasi un tabù.
Dominati dalle tendenze, prigionieri del flusso
La app di Byte Dance, similmente agli altri social, permette a tutti gli iscritti di produrre contenuti, divenendo i tal modo una “comunità di videografi”. Tale promozione è però rafforzata qui da un fattore essenziale: a essere virale su TikTok non è più un singolo post o video, ma un modello. Un concetto analogo al meme (parola che ha la medesima etimologia di mimare): si ripete lo stesso copione in un video di poche decine di secondi, ognuno però cercando di comunicare qualcosa di diverso. Si può raccontare di sé, oppure sostenere una posizione politica/ideale con argomenti particolarmente incisivi (giacché occorre esser convincenti nello spazio di pochissimi secondi).
La medesima tendenza o trends viene dunque usata per esprimere contenuti assolutamente superficiali ma anche per attirare l’attenzione su un tema che stia particolarmente a cuore. Ci si può lanciare da un ponte molto alto per mostrare la propria bravura, oppure farlo per richiamare il mondo alle vittime palestinesi.
Quest’ultimo esempio è riportato oggi dal sito de laLiberté: si tratta di una delle tante “sfide estreme, sempre più apprezzate dai giovani in cerca di emozioni e visibilità sui propri profili TikTok”, nota il quotidiano friburghese, aggiungendo che la sfida sarebbe quasi costata la vita a un giovane ventenne gettatosi da un viadotto alla congiunzione di Rodano e Avre, all’inizio di questo mese di giugno.
Per dire invece di tendenze interessanti, la Solothurnerzeitung racconta del canale di Noëmi Santos (di Egerkingen), che si autodefinisce “booktoker”: con 19mila followers invita alla lettura dei suoi libri preferiti. Attorno ai suoi spunti si creano vere e proprie comunità di creatori-fruitori.
La rivoluzione di TikTok (si veda anche qui) è consistita anche nell’invenzione di un nuovo tipo di fruizione, che ora gli esperti chiamano “flow state” o “flow experience” (esperienza flusso), ovvero la sensazione di essere a tal punto assorbiti da un compito da perdere la cognizione del tempo. Qualcosa di simile a ciò che si prova dedicandosi a un hobby piacevole, con la semplice differenza che in TikTok l’esperienza avviene in modalità del tutto passiva.
Secondo alcuni studiosi di neuropsicologia è proprio tale fruizione passiva che può indurre dipendenza e patologie psichiche (la Svizzera non ne sarebbe risparmiata: ne ha parlato di recente la NZZ).
Sorprendentemente, è un punto di riferimento per informarsi
I social in generale sono divenuti per molti una fonte di informazione. Per non pochi giovanissimi sono addirittura la prima o l’unica fonte di informazione. I dati dell’ultima edizione del “Digital News Report 2024” (Reuters Institute in collaborazione con Università di Oxford) mostrano come in diversi Paesi del mondo sia ormai consuetudine rivolgersi a TikTok come luogo informativo. Abitudine diffusa principalmente nei Paesi del Sud del mondo, ma con una percentuale relativamente alta anche negli USA (9%) .
Per il NYT i fruitori statunitensi di news su TikTok nel 2023 rappresentavano il 14% della popolazione adulta. In Svizzera il numero sembra inferiore, sebbene un dato contrastante di Reuters Institute rivela che fino al 55% dei rispondenti a una ricerca condotta nel nostro Paese affermerebbe di informarsi attraverso gli “shorts”, ovvero i video brevi proposti dalle varie piattaforme sociali (mutuati dal modello di TikTok di cui abbiamo detto poc’anzi).
In genere si registra come per i giovani punto di riferimento non siano i giornali tradizionali, bensì divulgatori-influencer di varia e spesso fasulla competenza. Ciò farebbe di TikTok&Co un terreno floridissimo per lo sviluppo di letture alternative dei fatti di attualità, non di rado improntate a tendenze cospirazioniste.
TikTok, terra di disinformazione
L’app, sfuggendo allo sguardo delle autorità occidentali, è oggetto di attenzioni preoccupate da parte della politica europea. La delicatezza del tema ha messo la piattaforma sotto i riflettori della UE nei mesi precedenti le elezioni europee.
Anche la Svizzera non è immune al fenomeno: Watson.ch pochi giorni or sono ha riportato le preoccupazioni del Consiglio federale di fronte all’offensiva di matrice russa contro la Confederazione. In un rapporto del CF, rivela Watson, si leggerebbe: “Dall’inizio della guerra in Ucraina, c’è stato un aumento dei contenuti di propaganda russa nelle lingue europee su piattaforme non occidentali scarsamente regolamentate come TikTok e Telegram”.
Il Governo starebbe pensando a una applicazione che, installata sui telefonini e operante in modalità analoga a quelle pensata per il maltempo e per le epidemie, avvisi tramite notifiche circa la diffusione di fake news sul nostro Paese.
Anche il commercio ha fiutato l’affare
TikTok è inoltre divenuta una piattaforma ideale per il marketing essendo efficace e poco costosa, e dunque accessibile anche ai marchi più piccoli.
L'app è diventata una componente fondamentale delle campagne pubblicitarie di molte aziende, le quali ritengono che i loro prodotti possano, se resi popolari da persone comuni, diventare più facilmente virali che non, ad esempio, facendo capo a costosi influencer.
TikTok e il suo modo di diffondere contenuti sembra essere di una efficacia tale che, spesso e in particolare nel mondo della moda, vi sono marchi che hanno rivelato di aver pensano al contenuto TikTok da utilizzare per sponsorizzare un prodotto ancor prima di sviluppare il prodotto stesso.
Fiona Co Chan, cofondatrice di Youthforia, un marchio di bellezza e cura della pelle con circa 190.000 follower sull'app, sostiene ad esempio che, se di un prodotto non riesce a pensare ad almeno 200 video TikTok per promuoverlo, tende a scartarlo.