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Il Federalista
13.06.24 - 13:160

Svizzera-UE, i rischi della Corte europea: "Da ammiratore della democrazia elvetica faccio fatica a comprendere che..."

Il Federalista ha intervistato l'avvocato Maurizio Lo Gullo, esperto di diritto comunitario: "Ritengo che il primo elemento da evitare sia il coinvolgimento vincolante della Corte UE nei meccanismi di soluzione delle controversie"

Redazione Il Federalista

Siamo in fase di negoziati tra Confederazione e Unione Europea, in vista di un aggiornamento degli accordi bilaterali adottati ormai vent’anni fa. Lo scopo? L’UE desidera passare a un regime in forza del quale, in determinati campi, il nostro Paese si adatti in maniera cosiddetta “dinamica” al diritto sempre in fieri dell’UE.

Qualche giorno fa su Le Figaro due intellettuali francesi, Arnaud Montebourg – socialista, ex Ministro francese dell’economia e dello sviluppo industriale - e Marcel Gauchet – filosofo politico –, lamentavano con toni di greve condanna (“L’Europa è un colpo di stato permanente al diritto”) quella che potremmo definire una continua “invasione di campo” delle istituzioni europee, della Commissione e della Corte di giustizia (CGUE), nelle vicende dello Stato francese. Ipertrofico nazionalismo gallico? Oppure c’è qualcosa di interessante anche per noi elvezi?

Abbiamo sottoposta la questione a un giurista esperto di diritto comunitario e di diritto commerciale internazionale, l’avvocato italiano Maurizio Lo Gullo (peraltro consulente dello studio Cugini di Lugano), già professore a contratto di diritto dell’UE all’Università degli studi dell’Insubria e di diritto internazionale privato e processuale all’Università di Milano.

Avvocato Lo Gullo, quale lezione possiamo imparare da questi malumori francesi, tenendo un occhio al non meno travagliato rapporto che la Svizzera intrattiene con l’UE?

Gli intervistati da Le Figaro evocano un problema da sempre sentito nell’UE: quello del deficit di democrazia nei processi decisionali. Nell’ambito dell’UE infatti non è stata assunta una struttura istituzionale in cui i tre tradizionali poteri sono nettamente divisi. Ciò porta a una ipertrofia normativa che offre l’impressione di una forte invasione di campo nelle competenze nazionali. Come dimostrato da diversi studi le istituzioni comunitarie tendono a esercitare i propri poteri interpretando in modo piuttosto estensivo i limiti delle proprie competenze, in contrasto coi principi di sussidiarietà e proporzionalità. I giudici dell’UE sono molto timidi nel sindacare atti delle istituzioni UE che si fondano su valutazioni tecniche e gli atti della Commissione in materia di diritto della concorrenza. La Corte di Giustizia UE non svolge adeguato controllo sulle decisioni delle altre istituzioni dell’UE. La stessa Corte UE tende ad interpretare spesso la propria funzione in modo “creativo”, reputandosi investita della funzione di cooperare nel processo di sviluppo dell’integrazione unionale.

Che pertinenza può avere tutto ciò con la Svizzera, che comunque non fa parte dell’UE?

Se al momento della stipulazione di accordi CH-UE si percepiranno una serie di impegni, la natura dinamica dell’ordinamento UE, unita alla detta attitudine “creativa” delle istituzioni, potrà portare a vedere progressivamente erose sfere ritenute, a torto o a ragione, di competenza interna, elvetica. Occorre avere una chiara rappresentazione dei meccanismi di funzionamento delle istituzioni UE per decidere come e fino a che punto vincolarsi alla necessità di recepire normative non statiche ma in costante sviluppo. La Svizzera ha appena avuto esperienza negativa di una simile giurisprudenza evolutiva (per non dire ideologicamente orientata) per essere stata condannata dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo per asserita violazione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (sul clima, ndr).
Dei (contro)limiti ci vogliono

Gli Stati membri UE cosa fanno per limitare la “creatività” dei giudici europei?

A priori si applica il principio del primato del diritto UE sul diritto nazionale nei settori di competenza dell’UE. Mancano però adeguati strumenti di garanzia contro atti delle istituzioni dell’UE che travalichino i limiti delle competenze assegnate dai trattati istitutivi. Qui dovrebbero intervenire le cosiddette funzioni giurisdizionali di controlimite.

Prima di capire perché sono importanti anche per la Svizzera, cosa si indica con queste funzioni?

La dottrina dei controlimiti si è affermata soprattutto nell’ambito dei rapporti fra ordinamenti nazionali e trattati internazionali. Da qui è passata anche ai rapporti fra diritto dell’UE e diritti degli Stati membri. Alcune Corti costituzionali si sono riservate di valutare la compatibilità con valori costituzionali interni delle norme dei trattati UE e del diritto derivato, ma secondo me dovrebbe poter operare anche nel caso di atti esorbitanti delle istituzioni UE, che ledono direttamente le funzioni sovrane degli Stati non trasferite all’UE.

Dove vediamo applicati questi controlimiti in Europa?

La dottrina dei controlimiti contro l’UE è stata applicata dalla Corte costituzionale italiana per difendere i termini italiani per la prescrizione di alcuni reati tributari. La Corte Costituzionale Tedesca è quella che più incisivamente si riserva di vigilare affinché gli atti delle istituzioni europee si mantengano nei limiti dei diritti fondamentali attribuiti ai cittadini tedeschi. Si tratta di vedere se questa dottrina sarà capace di trovare applicazione anche in altri settori coperti da garanzie costituzionali, come nel diritto di proprietà e di iniziativa economica.

E la Svizzera?

La Svizzera, ove i negoziati avessero successo, non diverrà comunque membro di un ordinamento sovranazionale sui generis quale quello dell’UE. Questo aspetto dovrebbe essere tenuto nella massima considerazione. Il Tribunale Federale dovrebbe riuscire a preservare il suo potere di fare piena e corretta applicazione della dottrina dei controlimiti e di tutte le sue funzioni di giudice supremo di una delle Parti contraenti. Il TF dovrà trattate i futuri accordi appunto come trattati internazionali e non come trattati che possano configurare una qualche forma di integrazione della Svizzera nel sistema dell’UE, e rimanere garante della coerenza di tali normative di derivazione internazionale con la Costituzione Svizzera.

Più Tribunale Federale, meno corte UE

Come dovrebbero trattare i rappresentanti politici e diplomatici svizzeri su questo punto?

La Svizzera ha una grandissima tradizione di abile negoziatrice. Ritengo che il primo elemento da evitare sia il coinvolgimento vincolante della Corte UE nei meccanismi di soluzione delle controversie. Allo stato attuale si prevede la costituzione di un tribunale arbitrale che, tuttavia, sarebbe tenuto ad investire delle questioni la Corte di giustizia dell’UE. La decisione della Corte di Giustizia sarebbe vincolante. In questo modo, la Corte UE svolgerebbe una funzione direttamente rilevante per l’ordinamento svizzero, diventando un organo Comune UE-CH. Il Giudice di una della Parti verrebbe chiamato a risolvere eventuali controversie che dovessero insorgere in relazione all’interpretazione e all’esecuzione dei trattati.

Un problema se la corte UE è, come detto, “creativa”. Cosa fare, dunque?

Contro il pericolo di dover recepire valori giuridici confliggenti con valori fondamentali dell’ordinamento svizzero è necessario disporre di meccanismi di garanzia. Non è scontato che l’evoluzione del diritto UE proceda in coerenza con la volontà e i valori fondamentali dell’ordinamento svizzero. Da osservatore esterno e ammiratore della democrazia svizzera faccio fatica a comprendere perché il Governo elvetico non negozi una qualche forma, anche adattata, di adesione all’accordo EEA (lo Spazio economico europeo, ndr.), o che, almeno, coinvolga, in luogo della Corte UE, la Corte EFTA (Associazione europea di libero scambio). Questa corte, in composizione allargata, in cui cioè potrebbe sedere un giudice designato dalla Svizzera, potrebbe avvalersi già di una giurisprudenza propria, di un proprio stile e operare con la sensibilità di un giudice consapevole di dover amministrare questioni riguardanti non stati membri dell’UE, ma Stati che, pur volendo integrarsi in qualche misura nel mercato unico, perseguono un legame diverso e più attenuato con l’UE, capace di preservare maggiori spazi di sovranità.

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