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Il Federalista
22.01.24 - 15:490

Qatar, una volpe nel pollaio

"Proseguono le trattative per il rilascio degli ostaggi a Gaza con la mediazione del Qatar...". Da settimane è un ritornello fisso nelle cronache di guerra. Ma una voce da Gerusalemme mette in guardia sul doppio gioco dell'emirato...

Contributo della redazione de ilfederalista.ch

Da due mesi gli Stati Uniti hanno sottoposto a Israele una proposta –l’unica per ora sul tavolo- che cerca di soddisfare le aspirazioni di israeliani e palestinesi. In sintesi, la proposta è la seguente: una volta eliminate le capacità offensive di Hamas, verrebbe istituita una forza inter-araba composta da membri del cosiddetto “asse della stabilità” (Stati del Golfo, Egitto, Giordania) in grado amministrare la Striscia durante un periodo limitato.

Gaza tornerebbe provvisoriamente sotto il controllo di un'Autorità Palestinese “riformata”, il cui diritto a governare il territorio, peraltro riconosciuto a livello internazionale, sarebbe soggetto a disposizioni di sicurezza accettabili per Israele. Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita finanzierebbero la ricostruzione delle infrastrutture nella Striscia. Israele, da parte sua, dovrebbe prendere parte a futuri colloqui in vista di una soluzione a due Stati. 

 Ora, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha impedito qualsiasi discussione sul “giorno dopo” all’interno del suo Governo. “Questo è inconcepibile”, scrive il quotidiano “Haaretz”, vicino all’opposizione. E le parole che seguono danno un’idea dello stato di tensione che regna all’interno dell’opinione pubblica israeliana. “Netanyahu si rende conto che una ‘rivitalizzazione dell'Autorità Palestinese’ significherebbe perdere Ben-Gvir e Smotrich e accelerare la fine del suo Governo. Israele ha bisogno di una leadership diversa. Devono esserci elezioni anticipate. Questo accadrà quando esploderà la rabbia delle famiglie degli ostaggi, delle comunità degli sfollati, dei riservisti e dei numerosi israeliani che ricordano bene il 7 ottobre”.

In questo contesto si pone poca attenzione al ruolo ambiguo giocato dall'emirato del Qatar, solitamente citato come inaggirabile deus ex machina nelle convulse trattative in corso per la liberazione degli ostaggi (si stima attorno ai 140, tra uomini, donne, anziani e bambini ancora nelle mani di Hamas). Ma c’è un’altra faccia del Qatar, e non alludiamo alla diplomazia del pallone guidata dall’astuto sceicco Saud bin Abd al Rahman Al Thani, bensì alle oscure manovre di una leadership, quella qatariota, intrecciata a filo doppio con i Fratelli Musulmani (ma anche legittimata, come vedremo, dagli stessi USA e supportata dall’onnipresente rete televisiva di Al Jazeera).La nostra Maria Acqua Simi ne ha parlato con l’ex capo dell’intelligence militare israeliana, oggi alla guida di un centro di ricerche sul Medioriente, Yigal Carmon.

"I segnali erano sotto gli occhi di tutti"

Da Gerusalemme. Yigal Carmon ci accoglie nel suo studio nel cuore della città santa. Colonnello in pensione di Aman*, il servizio di intelligence militare di Israele, ed ex consigliere per l’antiterrorismo dei premier Yitzhak Rabin e Yitzhak Shamir, Carmon è anche fondatore e presidente del prestigioso Middle East Media Research Institute (MEMRI). Il think tank, con sede a Washington e a Gerusalemme, è fra i centri di ricerca più informati e acuti della realtà geopolitica internazionale.

Non a caso fu proprio Carmon ad avvertire, lo scorso 31 agosto, dei rischi di un probabile attacco di Hamas in ottobre. Nessuno però nel Governo di Benjamin Netanyahu lo aveva ascoltato. “I segnali però erano evidenti. Ad agosto, Saleh Al-Arouri, il leader dell’ufficio politico di Hamas (che è stato recentemente ucciso a Beirut), aveva detto che una guerra contro Israele era inevitabile.

Inoltre, a settembre, Hamas aveva pubblicato un video di una addestramento, che prevedeva un attacco contro una base militare israeliana e il rapimento di soldati israeliani. Il Governo ha però ha sottovalutato tutti i segnali”.

Adesso, quando la guerra dura ormai da più di cento giorni, Carmon dice che è difficile pensare a un “dopo-Gaza”, perché il Governo non ha alcuna strategia. Israele infatti non può uccidere tutti i 40mila miliziani di Hamas. Se ne rimanessero anche soli 500 in vita, vorrebbe dire che il gruppo terroristico è ancora in piedi e che controlla la popolazione.

Secondo Carmon è pertanto improbabile che l’Autorità palestinese o degli organismi internazionali possano gestire il dopo-Gaza, che non ci sarà fino a quando Hamas continuerà a ricevere sostegno economico e politico.

“Negli ultimi dieci anni, Hamas ha ricevuto miliardi di dollari dal Qatar, con il beneplacito di Netanyahu, che pensava così di comprare la tranquillità. Hamas però non combatte per il comfort economico, ma per una fanatica ideologia di stampo religioso. Con quei soldi, che Netanyahu ha lasciato entrare a Gaza in contanti, sono stati costruiti i tunnel chilometrici in cui i leader di Hamas si nascondono, lasciando la popolazione alla mercé dei bombardamenti. Ogni drone, ogni proiettile, ogni missile sono il frutto del denaro di Doha.”, ha spiegato il presidente del MEMRI.

Il doppio gioco del Qatar (e la complicità di Washington e Netanyahu)

Sicuramente, avverte, per eliminare Hamas bisognerebbe agire alla radice, che consiste nel circoscrivere la relazione pericolosa con Doha. “Il Qatar promuove organizzazioni islamiste e terroristiche come Isis, Al-Qaeda, Hamas, i talebani. Doha ha sostenuto anche regimi legati ai Fratelli Musulmani, come quello di Morsi in Egitto o quello di Bashir in Sudan”.

Il Qatar vuole espandere la sua influenza come attore regionale, Ciò che ha potuto fare anche grazie agli Stati Uniti, che mantengono nel ricco emirato una delle più grandi basi militari in Medio Oriente. “Senza la presenza di questa base, il Qatar sarebbe già stato divorato dai Paesi vicini. Il Qatar è quindi in debito con gli Stati Uniti, ma finanzia tutti i movimenti anti-occidentali. Come si può quindi pensare che il Qatar possa essere un mediatore onesto nel conflitto attuale?”, domanda retoricamente Carmon.

Non bisogna dimenticare il ruolo svolto da Al Jazeera, l’emittente qatariota, che sta incitando le popolazioni nel mondo arabo contro Israele. “Al-Jazeera in inglese ha un altro stile, ma l’emittente in lingua araba sostiene Hamas. Il ruolo di Al Jazeera nel conflitto in corso è stato reso evidente dal fatto che Mohammed Deif, il comandante dell’ala militare di Hamas, abbia dichiarato guerra a Israele proprio con un messaggio trasmesso dall’emittente qatariota, invitando a espellere con violenza i civili israeliani. Deif aveva chiamato tutti i palestinesi – nella West Bank, a Gerusalemme e all’interno dello stesso Israele – a unirsi alla guerra. Il grido di battaglia di Deif, amplificato da Al Jazeera, era: Uccidete, bruciate, distruggete e chiudete le strade!”.

Perché quindi Netanyahu ha lasciato che i Qatar inviassero miliardi di dollari a Hamas? Carmon spiega che se da un lato il primo ministro pensava di aver “comprato” la calma, dall’altro voleva rafforzare Hamas per indebolire l’Autorità palestinese presieduta da Abu Mazen. Una scelta politica che è stata pagata a caro prezzo dai civili israeliani il 7 ottobre.
Il Patriarca di Gerusalemme dei Latini Pierluigi Pizzaballa
Il gesto del Patriarca

Quando gli domandiamo che cosa potrebbe realmente restituire pace a questa parte di mondo, e che cosa ne pensi dell’affermazione del cardinale Pizzaballa che “l’unico antidoto è l'amore” la risposta sorprende: “Io credo nella soluzione di due Stati per due popoli, come anche in altre soluzioni che possano portare a una risoluzione del conflitto. Come ha detto il cardinale Pizzaballa, se c’è la volontà da entrambe le parti di trovare una soluzione, la pace può arrivare. Dobbiamo però innanzitutto avere a cuore la verità. Solo infatti con la forza della verità si può vincere”.

E conclude, ricordando il nobile gesto del Patriarca di Gerusalemme: “Se vi capita di vedere il Patriarca Pizzaballa ditegli che io, israeliano ed ebreo, avrei voluto vedere uno dei nostri rabbini offrirsi in sostituzione degli ostaggi. Bravo a lui”.

*Aman (letteralmente "la Sezione Intelligence", comunemente abbreviato in Aman) - identificata anche come “direttorio dell'intelligence militare” è il servizio centrale di intelligence militare delle forze armate israeliane (Israel Defense Forces, IDF). Fa parte della comunità d'intelligence israeliana, ma è sovraordinato a ogni altra analoga struttura (Mossad, Shin Bet, eccetera),

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