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Cronaca
29.06.23 - 22:240
Aggiornamento: 30.06.23 - 08:06

Demolizione dell'ex Macello, ecco la sentenza della CRP: i dubbi irrisolti e i personaggi da interrogare

Dubbi, mancati accertamenti, incongruenze... Così i giudici hanno annullato la decisione del PG Pagani

Di Marco Bazzi

LUGANO – Dopo un anno e mezzo l’attesa sentenza è arrivata. In 93 pagine tre giudici della Corte dei reclami penali (CRP), tra i quali figura l’ex sostituto procuratore generale Nicola Respini, hanno rimandato al Ministero pubblico il decreto di abbandono firmato nel dicembre del 2021 dal procuratore generale Andrea Pagani sullo sgombero e la demolizione dell’ex Macello di Lugano. L’inchiesta andrà approfondita, affermano i giudici d’appello, indicando le persone da interrogare o re-interrogare e sollevando interrogativi sulla gestione, in particolare da parte della Polizia, dell’operazione che la sera del 29 maggio di due anni fa sfociò nell’abbattimento dello stabile che ospitava gli autogestiti.

Le motivazioni dei ricorrenti

La CRP riassume le motivazioni che hanno spinto l’avvocato dell’associazione “Addio Lugano bella”, Costantino Castelli, a ricorrere contro la decisione di Pagani. Castelli chiedeva di interrogare anche il consigliere di Stato Norman Gobbi, l’ex municipale Michele Bertini, il comandante della Polizia cittadina Roberto Torrente il comandante della Cantonale Matteo Cocchi e la titolare del Dicastero immobili di Lugano Cristina Zanini Barzaghi e di risentire anche la responsabile del Dicastero polizia Karin Valenzano Rossi, che nel corso dell’inchiesta era stata indagata. Secondo il legale, la tesi del procuratore generale secondo cui la demolizione totale dell'edificio sarebbe la conseguenza di un “malinteso dovuto ad un claudicante passaggio di informazioni” sarebbe poco credibile, priva di riscontri oggettivi e non sarebbe stata approfondita, in quanto Pagani “sembra averla sposata irrazionalmente, visto che, anche per lui “ha dell’incredibile”. L'aspetto soggettivo del reato di abuso di autorità sarebbe dunque realizzato, perlomeno nella forma del dolo eventuale. Secondo Castelli, la situazione di pericolo imminente per l'incolumità delle persone – che spinse le autorità a decidere di demolire il tetto dell’edificio, non si sarebbero basate su dati di fatto concreti, ma solo su astratte ed improbabili ipotesi di rioccupazione. Né dalla descrizione dei fatti del procuratore generale né dagli atti del procedimento penale sarebbe possibile individuare una qualsivoglia situazione di crisi e di urgenza che potrebbe in qualche modo aver spinto gli agenti di polizia, oppure il Municipio di Lugano, ad adottare il provvedimento in questione.

La preoccupazione per un eventuale tentativo di rioccupazione dell'ex Macello da parte degli autogestiti tramite il tetto dello stabile "F" sarebbe, con tutta evidenza, “una storiella inventata ad arte per cercare di giustificare l'ingiustificabile. Stupisce invero che il Procuratore Generale se la sia bevuta, ma la stessa merita quantomeno di essere sottoposta al vaglio di un giudice di merito”.

E il giudice di merito, vale a dire la CRP, ha accolto le sue riserve. “A giudizio della reclamante – l’Associazione Addio Lugano Bella – l’interrogatorio di Norman Gobbi, Michele Bertini, Matteo Cocchi e Roberto Torrente, tutti in funzione al momento in cui è stata la decisa e programmata l’operazione per lo sgombero dell’ex Macello, potrebbe servire a chiarire cosa sapessero le Autorità prima della manifestazione del 29 maggio 2021, quali fossero le esatte consegne alla Polizia e quali gli obiettivi”.

Il procuratore Pagani, si legge nella sentenza della CRP, “ha concluso per la sussistenza dell'elemento costitutivo oggettivo del reato di abuso di autorità, in relazione alla demolizione parziale e, per finire, totale dello stabile "F", in mancanza dell’obbligatoria licenza edilizia, mentre ha escluso la sussistenza dell’elemento costitutivo soggettivo di questo reato, non essendo possibile sostenere che chi aveva prospettato la demolizione (il capo impiego Lorenzo Hutter, ndr vicecomandante della Cantonale) e chi aveva deciso/autorizzato simile intervento (i membri del Municipio), avesse agito con il fine di recar danno a terzi. L’intento di tutti, in quei frenetici momenti, sarebbe stato quello di preservare l’incolumità fisica dei manifestanti e degli agenti di Polizia, credendo così di agire conformemente ai propri doveri. In ogni caso, per il magistrato inquirente (ndr il PG Pagani), anche ammettendo la sussistenza dell’elemento soggettivo di questo reato, andrebbe comunque applicato a favore dei membri del Municipio e della Polizia, essendo stati confrontati con uno stato di necessità esimente. Norma che andrebbe pure applicata all’ipotesi di danneggiamento sia per l'oggettiva constatazione dei danni arrecati ai beni di proprietà di terzi, sia della consapevolezza (perlomeno per dolo eventuale) di chi ha deciso e ordinato la demolizione, di poter danneggiare gli stessi”.

L'Associazione C.S.O.A, si legge sempre nella sentenza, “chiede, in via principale, di annullare il decreto di abbandono e di ritornare gli atti al procuratore generale affinché promuova l’accusa a carico di Lorenzo Hutter e di Karin Valenzano Rossi per i reati di abuso di autorità e danneggiamento nei rispetto dei principio "in dubio pro duriore'' o di ritornare gli atti al procuratore generale affinché completi l'istruzione, non avendo l'inchiesta per nulla dissipato i pesanti dubbi circa le reali intenzioni degli imputati che erano quelle di demolire l’intero stabile "F", con tanto di beni e simboli che lo stesso conteneva”.

Gli aspetti non chiariti

Non vi sono dubbi, scrivono i giudici, “che da tempo e perlomeno dal 2012 o al più tardi dal 2019, il Municipio di Lugano e la Polizia comunale sapessero che il tetto e/o il soffitto di quell’immobile presentava dei problemi. Quali siano state le verifiche tecniche operate dai servizi del Dicastero immobili e/o da altri professionisti circa l’effettiva pericolosità/stabilità del tetto o del soffitto dell'edificio "F", rispettivamente quali lavori di riparazione o di rifacimento siano stati concretamente eseguiti da allora e fino alla sera dello sgombero/demolizione, non è dato di sapere”.

Neppure è stato chiarito, se e quali verifiche avrebbe effettuato la Polizia comunale e/o cantonale al momento della pianificazione dello sgombero, sulle effettive condizioni del tetto dell'immobile "F", rispettivamente sulla statica delle pareti, nonché quali informazioni sarebbero state riportate allo Stato Maggiore (SM), e in particolare al capo impiego Lorenzo Hutter, per poter affermare che “si sapeva che lo stesso era fatiscente/pericolante e che la sua demolizione "avrebbe verosimilmente comportato il crollo delle pareti".

Secondo la CRP, sembrerebbe che la Polizia si sia limitata ad acquisire le "planimetrie" dell'immobile per conoscere "i punti d'accesso" per accedervi con "cognizione di causa" in vista dello sgombero. Planimetrie che peraltro non sono neppure state acquisite agli atti dell'inchiesta sebbene la Polizia le avesse a disposizione e sembrerebbe averle pure elaborate.

“L’inchiesta non ha quindi chiarito se il 29 maggio del 2021 il tetto era ancora instabile e pericolante, come preteso dagli interrogati, o se nel frattempo era stato rifatto o riparato, rispettivamente di quali verifiche e informazioni tecniche disponesse la Polizia e lo SM preposto alla pianificazione dello sgombero”, scrivono i giudici.

Andrà dunque in particolare richiesto alla Divisione gestione e manutenzione immobili del Dicastero immobili della Città di Lugano, l'intera documentazione riguardante lo stabile "F", il suo stato effettivo al momento della sua demolizione, così come il dettaglio delle opere di manutenzione effettuate negli anni e fino al 29.05.2021.

Il tetto o il tutto

“In merito al fatto poi che la sera del 29.05.2021 lo SM avesse chiesto l'autorizzazione al Municipio di smontare o demolire il tetto ed eventualmente una (non meglio precisata) parete dello stabile "F", nel corso dell'inchiesta non è stato chiarito quale parete avrebbe semmai potuto/dovuto essere demolita, per quali ragioni e in base a quali verifiche tecniche. Anche sotto questo profilo la fattispecie deve essere necessariamente approfondita”.

Nel dubbio, poi, annotano i giudici, “gli inquirenti avrebbero potuto incaricare un perito per determinare dapprima le condizioni di sicurezza delle strutture portanti dello stabile "F" (tetto, pareti, ecc.) prima della sua demolizione e secondariamente stabilire se, in alternativa alla demolizione, sarebbe stato sufficiente eseguire delle opere di muratura/chiusura degli accessi (porte, finestre, ecc.) e/o posare delle barriere (transenne, ecc.), misure inizialmente ipotizzate dallo SM e già eseguite nel 2002, dopo lo sgombero dell'ex Grotto al Maglio.

Il pubblico ministero dovrà pertanto acquisire dal Municipio e dalla Polizia comunale di Lugano ed eventualmente anche da quella cantonale, nonché dai Dicasteri eventualmente interessati, tutta la documentazione relativa al piano di sgombero che sarebbe stato allestito riel 2020 (risoluzione municipale, verbali delle riunioni, protocolli e piani esecutivi, ordini d'impiego, corrispondenza, e­mail, ecc.) per accertarne il contenuto, così da verificare quali fossero le intenzioni del Municipio e/o della Polizia nel 2020 e se già allora era stata ipotizzata e/o pianificata la demolizione dell'edificio "F" dopo lo sgombero del Centro sociale il Molino.

Sarà quindi necessario interrogare l'allora capo dicastero sicurezza e spazi urbani Michele Bertini e, se del caso (nuovamente), la municipale Karin Valenzano Rossi che ne ha ripreso tutti dossier, il comandante della Polizia comunale Roberto Torrente, così come tutti gli agenti di polizia e i funzionari comunali che avrebbero partecipato all'allestimento di questo (primo) piano di sgombero”.

I personaggi da interrogare e le due operazioni di polizia

Non è tutto: “Il magistrato inquirente – proseguono i giudici della CRP - valuterà se interrogare anche gli altri municipali presenti alla seduta dell'11 marzo 2021 ed eventualmente il segretario comunale, per conoscere la loro versione dei fatti in merito a quanto era stato discusso e deciso dal Municipio quel giorno (modalità dello sgombero ed eventuale demolizione). Valuterà pure se interrogatore il comandante della Polizia cantonale Matteo Cocchi e il comandante della Polizia comunale Roberto Torrente sui contenuti della videoconferenza dell'11 marzo, così come sugli ordini ricevuti dal Municipio al termine della stessa”.

I giudici affrontano quindi il tema dell'operazione denominata "AIEMO", che avrebbe avuto prioritariamente il compito del mantenimento dell'ordine in relazione alla preannunciata manifestazione degli autogestiti. Ma uno degli ufficiali della Cantonale coinvolti quel giorno ha affermato che "solo dopo che i manifestanti hanno occupato lo stabile ex Vanoni l'operazione AIEMO è stata affiancata dall'operazione di sgombero che era stata denominata PAPI”.

In altre parole: l’11 marzo era stato costituito uno Stato maggiore per l'operazione "PAPI" (pianificazione dello sgombero) e solo successivamente, era stata disposta l'operazione "AIEMO" (mantenimento dell'ordine in vista della manifestazione del 29 maggio. Ma, scrive la CRP, “della costituzione e composizione dello SM, così come della pianificazione delle operazioni denominate "PAPI" e "AIEMO" non si conoscono i dettagli, motivo per cui sarà necessario acquisire tutta la relativa documentazione e in particolare i verbali delle riunioni, gli ordini di servizio e d'impiego e i piani d'intervento redatti/acquisiti dallo SM, per chiarirne l'organizzazione e il numero di agenti impiegati, ma soprattutto i loro rispettivi obiettivi. Per chiarire questi aspetti sarà necessario interrogare il comandante della Polizia comunale Roberto Torrente, come pure l'interrogatorio di eventuali altri agenti della polizia comunale ai quali erano state delegate queste verifiche”.

I fatti del fatidico 29 maggio

Venendo alla fatidica sera del 29 maggio 2021, c’è uno scambio di messaggi tra lo Stato Maggiore e la Polizia di Lugano per ottenere “risposte piuttosto urgenti, per sapere soprattutto cosa si potesse fare sull'immobile dopo lo sgombero, consapevoli del fatto che fosse "in parte protetto", ma coscienti anche del fatto che la procedura per il rilascio della licenza edilizia per procedere alla sua demolizione avrebbe "cozzato contro la tattica di Polizia volta allo sgombero. Tattica che, alla luce della situazione, comportava la messa in atto de/l'effetto sorpresa", come dichiarato dal capo impiego Lorenzo Hutter. Sembrerebbe quindi che, da subito, lo SM avesse valutato la possibilità di attuare degli interventi edili, dopo lo sgombero, e che seguisse una ben precisa tattica che prevedeva l'effetto sorpresa, circostanze queste che non sono state approfondite e chiarite”.

Alla luce di questi messaggi, annotano i giudici, “si dovrà chiarire per quale motivo, malgrado la demolizione fosse solo un'ipotesi remota, come sostenuto nel corso di tutta l'inchiesta, a poche ore dal mandato conferito dal Municipio alla Polizia e dalla costituzione dello SM, i summenzionati messaggi riportassero espressamente quale oggetto "Ex macello - possibili misure di demolizione". Su questo aspetto andrà sentito anche il comandante Roberto Torrente, destinatario in copia di questi messaggi, per chiarire cosa sapesse in merito al loro contenuto e se, preso atto della necessità di disporre della licenza edilizia in caso di demolizione, avesse in qualche modo reagito informando i suoi superiori”.

Verso le 18:30 del 29 maggio, alcuni manifestanti occupano lo stabile disabitato dalla Fondazione Vanoni ed alcuni di essi salgono attraverso un lucernario sul tetto, dove sarebbero rimasti fino alle ore 18:50 circa esponendo alcuni striscioni. “Alle ore 19:45 circa, la Fondazione, e per essa il direttore, il presidente e il vicepresidente del Consiglio di fondazione, così richiesti dalla polizia, si sono recati a Noranco per sporgere querela contro ignoti per i reati di violazione di domicilio e danneggiamento, costituendosi accusatrice privata e hanno chiesto di sgomberare lo stabile”. Ma, osserva la CRP nella sentenza, “l'occupazione di questo immobile, definita "improvvisa" nel decreto impugnato (quello firmato dal PG Pagani) non dovrebbe aver sorpreso lo SM, visto che lo stesso faceva verosimilmente parte dell'elenco degli immobili disabitati "monitorati" dal mese di marzo 2021 dalla Polizia”.

Verso le 19:35 a Karin Valenzano Rossi viene chiesto se la manifestazione era da considerarsi "degenerata" e se confermava lo sgombero, alle condizioni previste nella risoluzione municipale firmata due giorni prima. Poco prima della 20 Valenzano Rossi conferma alla Polizia che il Municipio ha dato, a maggioranza, il nulla osta allo sgombero.

A quel momento Lorenzo Hutter e/o lo SM avrebbe deciso che era tatticamente il momento opportuno per eseguire lo sgombero "onde cercare di evitare il più possibile l'uso della forza". Ordina quindi a un ufficiale di circondare con la sua compagnia l'ex Istituto Vanoni "per impedire ai manifestanti di uscire da quell'area per raggiungere l'ex Macello" e a un secondo di procedere allo sgombero dell'ex Macello, che sarebbe avvenuto "pacificamente vista la disparità di forze".

Lorenzo Hutter e un ufficiale della Polizia di Lugano avrebbero quindi chiesto a Karin Valenzano Rossi – citiamo sempre dalla sentenza - l'autorizzazione ad abbattere il tetto ed eventualmente una (non meglio precisata) parete dello stabile "F", ottenendo il consenso dell'allora sindaco Marco Borradori, di Filippo Lombardi e Michele Foletti. Difficile credere che lo SM abbia improvvisamente adottato questa soluzione, ossia la demolizione del tetto, benché consapevole che questo intervento avrebbe probabilmente comportato anche il crollo delle pareti, e per di più in una situazione d'urgenza e di stress, visto che come ricordato in precedenza, la pianificazione dello sgombero era in atto (almeno) da inizio marzo ed era già conclusa, avendo lo SM stesso assicurato il Municipio di essere pronto ad eseguire lo sgombero, avendo analizzato tutti gli "scenari'. Come detto, mancando agli atti il piano di sgombero allestito dallo SM e non potendo conoscerne il contenuto, non è possibile allo stadio attuale dell'inchiesta rispondere a questo quesito.

Appare poi contraddittoria l'affermazione del capo impiego di aver deciso la demolizione del tetto, anche se "in sostanza demolendo solo il tetto nulla sarebbe stato risolto". Ci si potrebbe chiedere allora perché non informare subito i membri del Municipio della necessità di demolire (subito) anche le pareti dell'immobile "F", ritenuto che la richiesta di demolire il tetto e "forse" una parete, senza per altro precisare quale, non appare seria”.

Quanto alla sussistenza di un pericolo imminente (ndr di incolumità per le persone) “si è già detto che l'inchiesta non ha sufficientemente approfondito quale fosse lo stato d'animo e quindi le reali intenzioni dei manifestanti diretti verso l'ex Macello dopo l'avvenuto sgombero, di cui una (minima) parte improvvisamente sfrattata e i restanti (in numero superiore) inizialmente impossibilitati a lasciare l'ex Istituto Vanoni da loro occupato (…). Non è neppure stato valutato il numero dei partecipanti alla manifestazione e quelli che avrebbero voluto rioccupare l'ex Macello, né vi è chiarezza sul momento in cui questi ultimi avrebbero tentato di accedervi cercando di superare lo sbarramento di polizia”.

Non va inoltre dimenticato, concludono i giudici, “che, come emerge dagli atti, contrariamente a quanto richiesto dalla Fondazione Vanoni (immediato ripristino della situazione, allontanamento degli occupanti) la polizia ha di fatto impedito ai manifestanti di uscire dall'area, circondandoli, come ordinato da Lorenzo Hutter, decisione che potrebbe aver esasperato gli animi, visto anche la durata del provvedimento (alcune ore)”.

In ragione delle carenze riscontrate nell'inchiesta, secondo la CRP, è dunque “prematuro abbandonare il procedimento penale. Ne consegue che, in considerazione delle implicazioni del principio ne bis in idem, il decreto di abbandono del 9 dicembre 2021  deve essere integralmente annullato”.

 

 

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