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Cronaca
17.07.19 - 18:010

Il mio Camilleri. Michele Fazioli ricorda lo scrittore scomparso: "Ci lascia un prestigiatore eccezionale di storie"

Il fondatore del "Circolo dei Libri" ricorda Andrea Camilleri: "Ha inventato uno stile, mescolando italiano e dialetto siciliano"

ROMA – Andrea Camilleri è morto oggi a Roma all'età di 93 anni dopo essere stato ricoverato lo scorso giugno all’ospedale Santo Spirito di Roma in seguito a un arresto cardiaco. Tanti i messaggi di cordoglio sui social per la scomparsa di uno degli autori italiani più amati di sempre e inventore del "Commissario Montalbano", protagonista di 27 romanzi. 

Toccante il saluto di Luca Zingaretti, l'attore che ha dato un volto a Montalbano, che su Instagram scrive: "Adesso te ne vai e mi lasci con un senso incolmabile di vuoto, ma so che ogni volta che dirò, anche da solo, 'Montalbano sono' dovunque te ne sia andato sorriderai sornione, magari fumandoti una sigaretta e facendomi l'occhiolino in segno di intesa. Come hai fatto l'ultima volta che ci siamo visti a Siracusa. Addio maestro e amico, la terra ti sia lieve".

Ma cosa ci ha lasciato davvero Andrea Camilleri?  Ne parliamo con Michele Fazioli, giornalista ticinese amante dei libri e fondatore del "Circolo dei Libri".

Michele, cosa lascia Camilleri al suo pubblico e ai lettori?

"Lascia decine e decine di romanzi, più di cento. Lascia un “deposito” di lettura di grandissima, eccezionale fertilità. Per scrivere moltissimo e restare a livelli stilistici e inventivi di valore accertato, occorre avere razza di scrittore. Camilleri ha inventato uno stile, mescolando italiano e dialetto siciliano. Una forzatura? Forse. Ma un ingrediente di enorme successo. Lo scrittore appena scomparso lascia soprattutto l’invenzione seriale di un poliziotto, il commissario Montalbano, che ha dominato la scena del “giallo” italiano prima ancora di essere ulteriormente avvantaggiato dalle serie televisive. Camilleri fu uno scrittore giunto a pubblicare in età avanzata, dopo i 60 anni ( e ne avuti oltre trenta, poi, per sfogarsi felicemente) ma fu nondimeno da sempre un uomo di scrittura, lavorando come sceneggiatore per il teatro e la televisione e riempiendo intanto i suoi cassetti di fogli che sarebbero balzati fuori al momento giusto. Uomo di moltissime letture, non ha nascosto il suo debito per alcuni “confratelli” giallisti: a cominciare da Vasquez Montalban (da qui il nome del commissario sicliano). Montalbano, come Carvalho, come Maigret, come il Nero Wolfe di Rex Stout e altri, non appassiona tanto o non soltanto per la tensione della trama e della suspense delle indagini, ma anche e soprattutto per la polpa viva delle atmosfere, degli accenti vividi di umanità, per i pasticci sentimentali dello stesso Montalbano, per il teatro colorito di comparse comiche e drammatiche.

Montalbano ha la sua vita privata, anomala, gelosamente difesa: ha una donna, una compagna, o fidanzata; lui sta a Vigata in Sicilia, mentre lei sta su al nord, in Liguria. Rapporti labili, insomma, che lasciano squarci per vari incantamenti femminei. Montalbano non ha orari, spesso nuota di notte nel mare e rientra a casa all’alba, nella sua solitudine ruvida. Lo stesso Montalbano è solo un quasi eroe. Intelligente  dotato di grande intuizione sui misteri della natura umana, ha molto carattere e dunque spesso pessimo carattere, ha le sue idiosincrasie e manie. Affascinante e scostante, indomabile e umorale. Una azzeccata invenzione letteraria, fatta per piacere. Ma bisognava saperla inventare. Camilleri le ha costruito intorno il sottobosco divertente, comico  e talvolta grottesco di un manipolo di collaboratori che, insieme, costituiscono  un “coro” esilarante".

Come, secondo lei, ha cambiato il mondo della letteratura 'giallistica'?

"Non credo che Camilleri abbia cambiato molto il mondo del “giallo”italiano. Che ha una sua storia e un suo filone valido, a partire da Scerbanenco e su fino a Renato Oliveri. Certo, Camilleri ha consacrato il genere, ha conquistato una marea di lettori, si è affermato come lo scrittore più prolifico e anche di maggior successo, fra quelli italiani, di questi ultimi venti o trent’anni. Ma a guardar bene lo schema narrativo dei suoi gialli non differisce dalla classicità “di genere”: c’è un poliziotto intelligente, dotato di moralità civile e spregiudicatezza simpatica, sempre ai bordi di una spregiudicatezza e anche sempre attento a una moralità laica, etica. Intuitivo al massimo, non corruttibile".

Come definirebbe la sua scrittura?

"Qui sta il punto. E si possono avere anche dei dubbi, accanto agli entusiasmi di moltissimi lettori. Camilleri è un affabulatore, un prestigiatore eccezionale di storie, un artigiano abilissimo della scrittura. Ha inventato un linguaggio, il suo e di nessun altro, con quell’impasto di italiano e di dialetto siciliano, peraltro “camillerizzato” e un poco manipolato, mi si dice da parte di esperti. Ora, questo vezzo stilistico, questa  commistione fra italiano e “siculo” sono stati una delle armi vincenti di Camilleri ma forse, oso dirlo, alla fine anche un suo limite".

Camilleri ha trasformato Montalbano, grazie alla serie tv, in un personaggio unico e riconosciuto in tutto per il mondo. Come ci è riuscito secondo lei?

"Bravura dello scrittore, ma non basta.. C’è un “quid”, una variabile di mistero e di imponderabilità che decreta il successo strepitoso di un personaggio, di una seralità. Difficile analizzare e scoprire questo quid. Forse ha giovato a Camilleri la sicinialità del suo personaggio, con l’astuzia di un certo bozzettismo. La Sicilia di Montalbano è come pastorizzata, sistemata per l'esportazione: non a caso la serie ha avuto successo al nord prima che al sud".

Oltre a Montalbano c'è di più. Quali i suoi libri che raccomanda di leggere e perché?

"Voglio citare tre romanzi storici: I primi due, “La concessione del telefono” e “Il birraio di Preston” sono libri complessi, ironici e amaramente beffardi come una scintilla di resistenza di intelligenza contro le maree della burocrazia e della mediocrità organizzata. Il terzo, “Il re di Girgenti”, più difficile, denso, grottesco, immaginoso e fantasioso come una fiaba da cantastorie, in una Sicilia fra Seicento e Settecento. Ma diciamolo: Andrea Camilleri resterà soprattutto l’inventore dello smagato, ruvido, carismatico commissario Montalbano, poliziotto verace  un po’ estenuato da un sospetto esistenziale  di incompiutezza, forse di mai raggiunta felicità".

Si dice che Camilleri era molto più di uno scrittore. È d'accordo?

"Non sono molto d’accordo. Camilleri era soprattutto un narratore. Abile, immaginoso, comico, graffiante. Fu quello, con grande forza e con grande successo. Ebbe, sulla scena pubblica, anche sfoghi ed idiosincrasie di natura politica, ebbe i suoi rancori qua e là eccessivi, ebbe la sua indignazione spesso sacrosanta. Ma non è stato né una coscienza civile del Paese né un uomo di pensiero politico o filosofico, né un intellettuale a tutto tondo. Camilleri è stato un giocoliere della parola e del racconto. In quanto al valore letterario alto, la questione è come sempre ostica, e soggettiva. Sul piano dello stile, Camilleri è stato un inventore e un abilissimo maestro. Dotato di grande talento e di una grandissima forza immaginativa oltre che di una vena narrativa sempre felicemente aperta, Andrea Camilleri ha fatto godere e farà godere centinaia di migliaia, milioni di lettori, senza vendersi a nessuna trascuratezza o mediocrità. La raffinatezza della sua intelligenza si è trasmessa nelle sue moltissime pagine".

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