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Secondo Me
09.02.16 - 13:320
Aggiornamento: 19.06.18 - 15:41

Espulsione dei criminali stranieri, l'ex PG Balestra dice no all'iniziativa UDC: "Dalle pecore ci distingue la coscienza". E cita Kant: "L'uomo non è un mezzo, ma l'umanità è un fine"

SECONDO ME - "Per anni ho ascoltato storie vere di vittime, autori e testimoni, per capire le loro azioni e misurarle con la legge"

di Bruno Balestra *

Opinione pubblicata oggi sul Corriere del Ticino sull'iniziativa per l'attuazione, che chiede l'espulsione automatica degli stranieri che delinquono.

Per anni ho ascoltato storie vere di vittime, autori e testimoni, per capire le loro azioni e misurarle con la legge. Ogni decisione lascia nella coscienza sfumature di tristezza, compassione, impotenza e mai riesce a riflettere tutti i colori della realtà che supera bipolari fantasie in bianco e nero.
Riconoscere i colori rende vive e umane le leggi che, secondo Aristotele, per esser giuste devono esser interpretate dall’uomo. Il buonsenso insegna che ogni situazione è diversa e maggiore è la flessibilità, migliori saranno le soluzioni.
Lo sanno bene gli imprenditori che aborriscono paludi burocratiche irte di prescrizioni e divieti. Contro il buonsenso, e la libertà di usarlo, l’iniziativa per l’espulsione degli stranieri criminali impone senza distinzioni automatismi da allevamenti in batteria.

La propaganda mostra fra pecorelle tranquille una che scalcia spaventata e il testo spiega che vuole creare finalmente sicurezza. Con tutto quello che succede nel mondo: l’Europa, la crisi economica, i migranti, i terroristi tutti criminali, e tutti stranieri, vien voglia di costruire una diga di cemento lungo i confini e chiuderci nella nostra libertà. Prima però via gli «stranieri criminali»!

Se pensate che la traduzione sia infelice, la versione tedesca «Ausschaffung krimineller Ausländer» scioglie i dubbi sull’obiettivo. La pecorella è insicura, gli stranieri la rendono nervosa, statistiche su crimini e detenuti confermerebbero l’equazione straniero = criminale. Chi però vuol ponderare i dati, capisce che il numero di detenuti stranieri dipende dalla necessità di incarcerarli, anche in casi meno gravi, per evitarne la fuga in patria perché, a differenza dei cittadini elvetici, non potremmo costringerli a rientrare per il processo e l’espiazione.

La paura non aiuta perché la sicurezza è uno stato d’animo, che dà la misura dell’abilità di osservare senza pregiudizi i cambiamenti fra noi e la realtà e adeguare le nostre abitudini senza cercare capri espiatori.

Il vantaggio dell’uomo sulla pecora è di avere la coscienza di sé per guardarsi dentro e riposizionarsi con flessibilità e buonsenso. Nessuno può dare quello che non ha, né creare sicurezza diffondendo le proprie paure e scalciando contro tutti, ma a fare la differenza è la coscienza: permette di osservare ascoltare l’altro e capire chi siamo noi per dar significati migliori alla nostra umanità.

L’iniziativa che impedisce ai condannati stranieri di esprimersi sulle conseguenze di un’espulsione vuole proibire a noi svizzeri di ascoltarli, di poter usare la coscienza e scegliere le eccezioni, per esempio nostri parenti nati e cresciuti qui.

Tutti conosciamo l’effetto che fa il disumano burocrate che rifiuta di ascoltare le nostre buone ragioni però, anche nei casi minori, noi possiamo ricorrere. Esser ascoltati è un bisogno, ma anche un diritto! Togliere la voce a un essere umano significa considerarlo inferiore, e inutili le sue parole.

Allo stesso tempo se ci rifiutiamo di ascoltare ci comportiamo come automi, esecutori disumani incapaci di libertà e coscienza. Non a caso il dovere di ascoltare è stato uno dei primi a limitare il potere dei sovrani e vale a maggior ragione per il «popolo sovrano» e i suoi rappresentanti.

È vero, chi ha commesso un reato ha sbagliato e violato la dignità della vittima, ma può una legge autorizzarci a sbagliare e negare la dignità al reo? Le esperienze del secolo scorso hanno mostrato cosa accade quando le leggi diventano protocolli metodici che prima esautorano poi annichiliscono le coscienze.

È emblematico l’aforisma di Jerzy Lec: «Aveva la coscienza pulita mai usata». La regola d’oro per allenare la coscienza è di «non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te», cioè riconoscere reciprocamente la dignità umana.
Possiamo fare leggi che negano i diritti umani agli altri solo se neghiamo la nostra umanità. Dopo tutte le infamie della seconda guerra, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ricorda questa umanità, e insieme alla Dichiarazione universale delle responsabilità dell’uomo, aiuta a capire che la giustizia non è ritorsione, ma evoluzione e non permette di abbassarci a ripetere violazioni di altre dignità.

Usare la coscienza è fare i conti con abitudini, pigrizie, paure, pregiudizi, idee e coraggio per riconoscere quanto le scelte sono: nostre, autentiche e libere.
La coscienza rende giusta la legge, non può quindi esser giusta la legge che ne vieta l’uso.

Siamo fieri dei grandi principi di libertà e democrazia scolpiti nella Costituzione come punti cardinali di una bussola per orientarci quando la meteo, il terreno, valanghe e burroni rendono difficile individuare nuovi percorsi.
L’iniziativa ha però smarrito la bussola e senza ideali impone di avanzare sempre dritti, senza guardare dove mettiamo i piedi né chi o cosa calpestiamo.

Marciare insieme è una bella emozione rassicurante, fa sentire forti e uniti, ma se la coscienza non è vigile può costarci la libertà. Libertà, coscienza e umanità sono inscindibili, non per caso il nostro Paese è stato stimato per aver dato i natali alla Croce Rossa prima di esser invidiato per il suo benessere.

In nome di false sicurezze, perché già oggi i criminali senza stretti legami sono espulsi, l’iniziativa chiede di cominciare ad abdicare alla libertà di coscienza a favore di automatismi incoscienti. L’essere umano non è uno spaventato pecorone omologato e sa che la vera sicurezza è il coraggio di assumere il quotidiano rischio di sbagliare per continuare a scegliere chi vogliamo essere senza liberarci della libertà.

Forse l’abitudine a logiche troppo imprenditoriali ha fatto dimenticare il pensiero di Kant quando ricordava che «l’uomo non è un mezzo ma l’umanità è un fine».

* ex procuratore generale

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