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Analisi
29.03.17 - 16:360

Guai alla censura e ai divieti: ma si può dire che il Gay Pride a Lugano è una boiata solenne nell'anno di grazia 2018? E il binomio diritto-indotto fa vomitare

L'ANALISI - A noi interessa il giudizio di merito su una sfilata che, fino a qualche anno fa era un meraviglioso atto di ribellione e di provocazione libertaria per conquistare dei diritti negati, e oggi è invece diventata un'esibizione vuota per scopi turistici o di divertimento fine a se stesso (il che non è un male, anzi: basta ammetterlo)

di Andrea Leoni

I tre Consiglieri Comunali del PPD di Lugano - Boneff, Beretta Piccoli e Petralli - hanno avuto una sola colpa. Quella di non aver detto senza ipocrisie nella loro interrogazione al Municipio ciò che pensano davvero e che penso anch'io: e cioè che il Gay Pride nell'anno di grazia 2018 è una puttanata solenne. Hanno celato questa loro opinione, o così è sembrato, utilizzando argomenti del tutto secondari come  si usa fare con i fumogeni: dal risotto di carnevale ai "reali benefici" per il turismo. 
 
Tutte balle: appare evidente che ai tre esponenti azzurri l'idea di vedere sfilare per le vie di Lugano la manifestazione dell'orgoglio gay non gli piace. Punto e basta: è un'opinione che andava espressa nella sua crudezza e nella sua piena legittimità. Cos'è non si può più dire?
 
Anche perché solo gli imbecilli, o chi cerca di far fruttare per un interesse la propria malafede, possono confondere i diritti degli omosessuali con questi appuntamenti che definire macchiettistici è un eufemismo. 
 
Ma già solo per il fatto di averla sottintesa, questa libera opinione, i tre Consiglieri sono stati linciati come untori dell'oscurantismo più gretto e portabandiera di un'omofobia dalle sfumature fasciste. In realtà, la "colpa" sottaciuta con altrettanta ipocrisia dai liberal-talebani - ossimoro quanto mai calzante per definire un certo tipo di maggioranza patinata e rumorosa - è quella di essere tre aderenti a un partito cristiano. Vale a dire di appartenere a quella che ormai è a tutti gli effetti una minoranza nella nostra società. Una minoranza le cui opinioni vanno azzittite, schernite, bollate e archiviate come eresia politica. Va sempre a finire così quando un gruppo si fa lobby, una lobby si fa movimento di pensiero, e un pensiero diventa parte di un sistema, cioè di un establishment che vuole imporre la sua visione di società attraverso i cannoni censori e il ricatto morale del politicamente corretto. 
 
Facendo il furbetto da quattro soldi qualcuno si è perfino rifatto a Papa Francesco (giochino patetico….) per giustificare il Pride, dicendo che, insomma, persino Bergolgio ha sdoganato i gay con l'ormai celebre "Chi sono io per giudicare?". Come se superare le discriminazioni degli omosessuali all'interno della comunità della Chiesa - questo il senso delle parole del Pontefice e in ogni caso fatti loro… - attraverso un'interpretazione falsa e interessata, significhi benedire in un sol colpo manif, matrimoni, adozioni, gender, e compagnia.
 
In ogni caso noi non ce l'abbiamo il problema di Dio, e di conseguenza non ci servono le sponde del Papa per argomentare in materia. E sia chiaro: non si tratta assolutamente di vietare il Gay Pride. Non ci sfiorerebbe mai il pensiero di batterci affinché il suolo pubblico venga negato per una manifestazione o una festa, di qualunque tipo essa sia, che rispetta le regole o che le vìola di striscio o per giusta causa, in nome del principio sacrosanto della disobbedienza civile. Non è questo il punto: e chi vuol combattere per difendere questo tipo di confine, sì che è un fascista. 
 
A noi interessa il giudizio di merito su una sfilata che, fino a qualche anno fa era un meraviglioso atto di ribellione e di provocazione libertaria per conquistare dei diritti negati, e oggi è invece diventata un'esibizione vuota per scopi turistici o di divertimento fine a se stesso (il che non è un male, anzi: basta ammetterlo). Né più e né meno di un carnevale, di una sagra, di una festa campestre da strapaese. Un palcoscenico ridicolo dove il dramma di una lotta si è trasformato in una caricatura demenziale. E il binomio diritto-indotto dovrebbe far venire il voltastomaco a chiunque.
 
Sovviene Giorgio Gaber: "Ora il mondo è pieno di queste facce/ è veramente troppo pieno/ e questo scambio di emozioni / di barbe di baffi e di chimoni / non fa più male a nessuno". Meglio: "E anche se è diverso  il vostro grado di coscienza/ quando è moda è moda  non c’è nessuna differenza/ Tra quella del playboy più sorpassato e più reazionario/ a quella sublimata di fare una comune o un consultorio". O un Gay Pride.
 
Spiace soltanto che questa enorme omologazione, questo finto perbenismo, questo moralismo al contrario (che come ogni moralismo è sempre recitato dalla maggioranza ammaestrata), finisca alla fine per nuocere agli stessi omosessuali. Gay e lesbiche che vengono loro malgrado ancora associati a questa baracconata e la loro rappresentanza affidata a lobby che si muovono e utilizzano lo stesso linguaggio delle loro sorelle attive in altri ambiti. E lo stesso dovrebbe essere il giudizio. 
 
 
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