di Andrea Leoni
Giorgio Giudici, quali pensieri e quali ricordi le sovvengono nel decennale della scomparsa di Giuliano Bignasca?
“Prima di tutto era un amico d’infanzia e quindi abbiamo sempre avuto un bellissimo rapporto fin da ragazzi. Anche le nostre famiglie andavano molto d’accordo. Sia mio padre che i suoi avevano le cave e mi ricordo che da piccolo andavo in laboratorio a battere le pietre, sbucciandomi le dita. Lui stesso amava definirsi scalpellino. Questa natura comune, se vuole, ci ha unito molto. Per tutta la vita abbiamo lavorato la stessa pietra”.
E poi?
“E poi lui l’ho sempre ammirato come persone estrosa, determinata e geniale. È sempre stato nella vita come quando giocava a calcio all’oratorio: imprevedibile. E imprevedibile, per finire, è stata anche la sua morte”.
Quando si ricorda il Nano la metafora del calcio, torna sempre fuori.
“È vero, lo rappresenta molto. Quando giocavamo lui prendeva la palla e dovevi gambizzarlo per toglierla. Era un solista assoluto. Partiva e doveva andare subito in gol. Qualche volta s’incaponiva in un vicolo cieco, ma molto spesso riusciva a gonfiare la rete”
E dal profilo politico quali sono i ricordi?
“C’è sempre stato grande rispetto e affinità. Il Nano alla fine, in modo naturale, sapeva scegliere gli interlocutori giusti con i quali costruire. Io ho lavorato con lui 13 anni in Municipio e non abbiamo quasi mai avuto divergenze. Condividevamo prima gli obbiettivi, in modo da evitare sorprese successivamente. L’unica volta che abbiamo avuto un disaccordo, è stato per l’acquisto della vetta del Monte Bré. Dopo lunghe trattative andammo in Consiglio Comunale per l’approvazione del credito e a quel punto, a sorpresa, lui mi disse: “Giorgio, ritiriamo il messaggio perché non passa”. Tenni duro, anche perché il Nano non sapeva che avevo lavorato dietro le quinte per avere i voti necessari. Infatti il credito passò e alla fine fu felice anche lui”
Lei disse che la Lega era una costola del PLR.
“All’inizio era effettivamente una costola del PLR. Poi per fare andare una locomotiva servono le spinte e le persone giuste. I liberali non le hanno più avute, sono andati indietro e la costola è diventato il vero partito. I numeri gli hanno dato ragione”.
Il Nano ha cambiato veramente la politica in Ticino?
“Il Ticino era come un lago con la sabbia. Lui ha messo il bastone e ha intorpidito le acque. E alla fine non si capiva più niente: chi era al centro, chi era a destra, chi a sinistra. Ha scombussolato gli equilibri politici. Ha frastornato tutti, leghisti compresi. Poi però abbiamo anche costruito molto. Dal 2000 al 2004, con le aggregazioni, penso che abbiamo realizzato una parte importante della Lugano di oggi. Abbiamo lavorato tanto anche per la creazione dell’Università della Svizzera italiana, insieme al compianto Giorgio Salvadé e ad altri. Anche in quella occasione il Nano fu un trascinatore formidabile”.
Quando eravate ragazzi, oppure anche un po’ più da adulti, ha mai pensato che Bignasca potesse entrare in politica?
“È la stessa domanda che potrebbe rivolgere a me. Io non avrei mai detto da giovane che avrei fatto politica. Spesso chi entra nell’arena politica senza averlo previsto è capace di farlo a muso duro, togliendo le incrostazioni, sconvolgendo i metodi. Per entrambi è stato così”.
Che Lega vede dieci anni dopo la morte del Nano?
“Non voglio addentrarmi in giudizi politici. Io l’ho vissuta dal ’91 e posso dire che quella Lega non c’è più. Oggi vedo un insieme di realtà, a volte individualistiche, che vanno un po’ per la loro strada. Il Nano, invece, era capace di tenere tutti uniti, perché lui era veramente il regista, il mattatore, lo stratega. Il Nano era il collante della Lega, tra genio e sregolatezza”.
Le ha mai chiesto di entrare nel Movimento?
“Nel 1999, a mia insaputa, promosse la mia candidatura agli Stati contro quella di Dick Marty. Venne fuori un putiferio e le lascio immaginare il clima nel PLR…lui era abilissimo anche ad interferire e a creare scompiglio nel campo altrui. Comunque no, non mi ha mai chiesto di passare alla Lega. Io ero un avversario che stimava nel principale partito di allora. Gli andava bene che restassi al mio posto”.
Cosa le è mancato di più di Giuliano Bignasca negli ultimi dieci anni?
“Una persona con la quale dialogare e poi la sua sensibilità. Quando facevamo le cene del Municipio, lui arrivava spesso con un regalo per le mogli dei colleghi. Lui aveva una sensibilità spiccata e sorprendente, che di certo non combaciava con l’immagine pubblica”
Ricorda il giorno che è morto?
“Quando è morto, ero in ospedale, e mi sono messo a piangere come un matto appena l’ho saputo. Se il suo decesso fosse avvenuto qualche settimana prima, mi sarei ritirato dalla corsa al Municipio, ma a quel punto non potevo più”.
Perché si sarebbe ritirato?
“Perché morendo lui veniva meno il principale interlocutore con il quale avevamo costruito Lugano. Anche se negli anni successivi sono stato criticato per la gestione delle finanze, con il Nano abbiamo sempre condiviso tutte le scelte. Il nostro obbiettivo era quello d’investire e creare patrimonio per la Città. Ed è chiaro che se investi fai debiti. Ma penso che abbiamo lasciato un grande valore aggiunto alla Città”.