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Aggiornamento: 16.10.24 - 18:10

Sarco e suicidio assistito. Tre domande a Franco Cavalli

L'oncologo: "Non ce n'è bisogno. Il metodo classico utilizzato in Svizzera da migliaia di persone è molto consolidato. Ma..."

Cosa pensa della capsula della morte Sarco, questo nuovo metodo per il suicidio assistito? Ha delle perplessità anche dal profilo medico?
"So molto poco, perché di dettagli medici non mi pare che ne circolino molti. Il principio di per sé è chiaro, ma per esempio non sono del tutto sicuro che prima di perdere conoscenza le persone che usano questo metodo non soffrano di senso di soffocamento. Secondo me però soprattutto non ce n’era bisogno: la giustificazione che così facendo uno può scegliere dove suicidarsi mi sembra molto debole. Il metodo classico che è stato usato in Svizzera da tanti anni da migliaia di persone, basato sul pentobarbital, è molto consolidato: le persone si addormentano tranquillamente nel loro letto e il tutto va via molto liscio e dolcemente. Non vedo quindi proprio che bisogno ci sia di questa novità, a cui tra l’altro è stata fatta una pubblicità che mi pare un po’ sospetta".

Il Consiglio federale e molti governi cantonali, tra cui il nostro, hanno posto un veto immediato all’utilizzo di Sarco. Hanno fatto bene?
"Non essendo questo uso medico approvato dalla nostra agenzia nazionale dei farmaci Swissmedic, al Consiglio Federale e ai cantoni secondo me non restava altra possibilità. La grande solerzia del Consiglio Federale e dei cantoni è però un po’ sospetta: secondo me hanno approfittato di questa occasione per fare un po’ di propaganda contro il suicidio assistito. Non è difatti un segreto che, contrariamente a quanto pensa la maggioranza della popolazione, molti politici vorrebbero disposizioni legali più restrittive. Ogni qual volta però che il popolo, e questo è avvenuto in diversi cantoni, ha potuto esprimersi sul tema, si è sempre opposto a regole più restrittive. Credo sia un tema di cui dovremmo riparlare anche in Ticino, direi soprattutto a livello di Gran Consiglio. Difatti è noto che, anche se dal punto di vista giuridico non ci sono ostacoli, negli ospedali poi non si permette di fare una vera assistenza al suicidio e ciò per questioni di opportunità politica, cioè per paura della reazione dei circoli cattolici fondamentalisti. È più che ora di permetterlo, siamo già fuori tempo massimo".

 La vicenda Sarco ha rilanciato il tema del suicidio assistito in Svizzera. I dati certificano un forte aumento sia tra residenti sia tra stranieri. Lo stato attuale secondo lei va bene oppure occorre una legge più permissiva o più restrittiva?
"Certo, la gente è sempre più convinta che è un suo diritto fondamentale quello di decidere quando è giunto il momento di andarsene e che sia giusto farsi aiutare affinché ciò avvenga in un modo dolce e non con atti drammatici. Come è noto da noi l’assistenza al suicidio non è punibile, a meno che venga fatta per motivi egoistici (per esempio il nipote che vuole ereditare dal nonno). Non è neanche richiesto che la persona sia gravemente ammalata. Cioè, l’assistenza al suicidio non è punibile neppure nel caso del cosiddetto “suicidio di bilancio”: la persona cioè che può essere sana, ma dopo un'approfondita riflessione e senza essere clinicamente depressa ritiene che la sua vita non ha più nessun senso. A me è già capitato di praticarla anche a queste condizioni e ho avuto il nullaosta dalle autorità giuridiche. Sono quindi assolutamente contrario a qualsiasi legislazione più restrittiva. Quando ero in Consiglio Nazionale avevo persino cercato con un’iniziativa parlamentare di rendere non punibile anche l’eutanasia attiva, almeno in certe situazioni: per esempio quando un paziente non è più neanche in grado di compiere quei minimi gesti (per esempio bere la pozione letale) che qualificano il tutto quale assistenza al suicidio. Non c’ero purtroppo riuscito. Non escludo che per questi casi Sarco possa forse essere una possibile soluzione: però, come detto, non ho sufficienti informazioni dal punto di vista medico per poterlo sostenere".

 

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