di Andrea Leoni
Confesso l’emozione. Sabato mattina al Palacongressi di Lugano, nell’ambito del Festival Endorfine (clicca qui), avrò l’immeritato privilegio di intervistare Dimitry Muratov. Per me è un eroe e sono certo di non abusare della definizione.
Sessantadue anni, giornalista, è stato co-fondatore e direttore di Novaja Gazeta, almeno fino a quando la stretta sui media imposta da Vladimir Putin dopo l’aggressione all’Ucraina, non ha imposto lo stop alle rotative. Prima di dirigere il giornale Muratov è stato cronista di razza e di trincea. Ha raccontato la guerra in Cecenia. Nella redazione moscovita di Novaja Gazeta è (era?) conservata la scheggia di una granata che quasi lo faceva secco. Durante la sua lunga direzione del foglio indipendente, ha raccontato come nessuno il potere russo, scoperchiando scandali di corruzione politica e finanziaria, raccontando i vari fronti bellici aperti negli anni da Putin, svelando la terribile condizione delle carceri russe e dei prigionieri politici.
Sotto la sua direzione sei giornalisti di Novaja Gazeta sono morti per aver fatto il loro mestiere. La più nota alle nostre latitudini è Anna Politkovskaja, freddata a colpi di pistola nell’ascensore di casa il 7 ottobre del 2006, giorno del compleanno del presidente russo. Per il suo omicidio sono stati condannati gli esecutori materiali. Il mandante non è mai stato individuato e, dal punto di vista le legale, il caso è andato prescritto. Ma non esiste prescrizione giornalistica, almeno per noi di Novaja Gazeta, ha detto Muratov, che non intende mollare nella ricerca della verità sulla morte dell’amica e collega Anna.
La sua idea di giornalismo è semplice (“la nostra missione è chiara: distinguere tra fatti e finzione”) e al contempo alta, nobile (“siamo l’antidoto contro la tirannia”). E di tirannia lui se ne intende. Un anno fa è stato inserito dal suo Governo nella lista degli “agenti stranieri”. Per il suo Paese è un nemico dello Stato. La sua colpa? Esercitare la libertà di parlare e di scrivere. Neppure il Premio Nobel per la pace, consegnatogli nel 2021, lo ha protetto da questo stigma. E le cattive avvisaglie, purtroppo, gli erano già arrivate nell’aprile del 2022 quando venne aggredito su un treno da Mosca a Samara (foto di apertura) dove fu ricoperto di vernice rossa e acetone.
Dimitry Muratov parla chiaro. Ecco, ad esempio, il suo elenco di alcuni dei “risultati” prodotti dall’aggressione della Russia all’Ucraina: “1. Ucraina e Russia non saranno mai più dalla stessa parte. Questi popoli non saranno mai più fratelli; 2. Abbiamo fatto una grande scoperta geografica in Russia. Se ancora non lo sapevate, vi dirò che la Russia non è più Europa; 3. In Russia c’è stato un cambiamento di Dio. La Chiesa ortodossa russa ha sostenuto l’operazione militare speciale e ha così promosso la morte. Penso che presto il comandamento “non uccidere” sarà giudicato profondamente errato. La nuova religione impone la morte per il proprio paese e non la vita per il proprio paese”.
Ma la domanda più difficile è un’altra. “Perché i russi non dicono nulla? Perché non si ribellano? I russi sono tutti schiavi? Non mi sottraggo a questa domanda e chiedo in risposta. Dove si può parlare? E dove si può protestare? I raduni sono vietati. 600 prigionieri politici in carcere. 20.000 procedimenti contro i sostenitori della pace. 300 media non statali sono stati chiusi. Le persone che sono in carcere dovrebbero suscitare il nostro rispetto, la nostra compassione e il nostro desiderio di aiutarle”.
Tra i 600 prigionieri politici c’era anche Alexey Navalny, morto il 16 febbraio scorso durante una passeggiata nel cortile della prigione, secondo le informazioni fornite dal penitenziario. “La morte di Navalny è un omicidio, è stato sottoposto a torture per tre anni”, ha commentato Muratov.
La medaglia del Premio Nobel l’ha fatta mettere all’asta ed è stata battuta per 103 milioni di dollari. L’intera somma è stata donata al Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia (Unicef) per aiutare i bambini sfollati a causa della guerra in Ucraina.
Potrei continuare all’infinito nell’elenco delle azioni e delle parole, per le quali considero Dimitry Muratov un eroe. Ma forse la principale ragione per la quale vale la pena impiegare un sabato mattina per starlo a sentire, sta nell’occasione di poter ascoltare dal vivo un testimone della storia. Una storia che ci riguarda da vicino e di cui talvolta ci capita di parlare a sproposito.
Per questo sono sicuro che il pubblico saprà tributare un abbraccio caloroso e riconoscente a Dimitry Muratov, magari sottolineato anche dalla presenza di alcuni rappresentanti delle istituzioni civili e politiche. È infatti un grande onore per il nostro Cantone e per la città di Lugano poter ospitare un vero eroe del nostro tempo.