Da molti mesi attiriamo l’attenzione sulla delicatezza del tema energetico, fondamentale per le aziende ma ovviamente per tutti le cittadine e i cittadini. Produzione insufficiente a coprire i consumi, pericolosi giochi ideologici che limitano le fonti di produzione a disposizione, dipendenza dall’estero, rischio di incremento dei prezzi, ecc..
Appelli passati quasi inosservati al di fuori della ristretta cerchia degli addetti ai lavori, fino a quando il Consiglio federale ha rotto gli indugi parlando apertamente di crisi energetica imminente, con probabili black-out. Il repentino e vertiginoso aumenti dei prezzi dell’energia ha dato il tocco finale, riaprendo un dibattito che rischiava di morire imbrigliato fra false credenze e illusioni, si spera solo dettate dall’ingenuità. È evidente che siamo di fronte a un’equazione che, allo stato attuale delle cose, sembra sempre più irrisolvibile, con consumi in aumento e limitazioni alla produzione, visto che taluni vettori restano ancora un tabù, il nucleare su tutto, malgrado l’evoluzione tecnologica.
Tre pilastri essenziali
La politica energetica poggia fondamentalmente su tre pilastri: la garanzia dell’approvvigionamento, l’economicità e la sostenibilità ambientale. Su questi assi, legati indissolubilmente, occorre lavorare. Trascurarne anche solo uno significa pasticciare e trovare pseudo-soluzioni raffazzonate che, nella migliore delle ipotesi, si rivelano inutili. Un punto fermo è comunque il fatto che da parecchi anni la Svizzera è costretta a importare energia elettrica soprattutto da Germania, Francia, Italia e Austria. Energia prodotta anche con il nucleare e il carbone.
Quindi consumiamo sempre di più ma siamo costretti a fare capo ad altri Paesi per coprire il fabbisogno energetico. Altri Paesi che, nel corso dei prossimi anni, avranno sempre più la necessità di pensare per sé. Da una parte l’ambiziosa e costosissima agenda verde dell’Unione Europea (UE), a cui si sommano decisioni nazionali come quella della Germania di abbandonare il nucleare porteranno inevitabilmente a ristrettezze ovunque e quindi è verosimile ritenere che cedere energia alla Svizzera non sarà più la priorità dei Paesi dell’UE.
Non è quindi solo la difficoltà data dal mancato Accordo quadro con l’UE a caratterizzare la situazione, ma anche, molto più prosaicamente, la concreta quantità di energia disponibile. A fronte soprattutto di consumi crescenti, spesso non manifesti, ma non per questo meno “pesanti”.
Il telelavoro ad esempio, per il grande consumo di dati, è tutt’altro che neutrale dal punto di vista dei consumi e delle emissioni di CO2, vista la forte necessità di energia dei data center. Magari si userà meno l’automobile per andare al lavoro, ma certamente lavorare dal salotto di casa non è a impatto zero. E anche di questo occorre tenere conto nel bilancio energetico globale.
La sensazione netta è che le strategie energetiche pomposamente presentate dalla Confederazione negli scorsi anni siano ormai destinate al macero e necessitino cambi di paradigma importanti. Non a caso, il Consiglio federale ha comunicato la necessità di far ricorso, in caso di penuria energetica, anche a centrali a gas da realizzare nei prossimi anni, ammettendo di fatto che la legittima volontà di fare capo solo a energie rinnovabili, in particolare l’energia solare ed eolica, non sono sufficienti a coprire il fabbisogno. Inutile tergiversare, questa è la realtà.
Limitazioni pericolose
È più che evidente che non si può prescindere dal valutare soluzioni sistemiche, che comprendano tutto il pacchetto di risorse esistenti, cioè eolica, solare, idroelettrica, fotovoltaica e, ebbene sì, pure nucleare. Tema tabù quest’ultimo, malgrado l’evoluzione tecnologica ne faccia un vettore che non può essere ignorato, visto che reattori di nuova generazione offrono garanzie notevoli in termini di sicurezza. Visti però i lunghi tempi di realizzazione, sarebbe già un passo importante prolungare l’attività delle centrali nucleari svizzere esistenti, perché spegnerle nel 2035 significherebbe tagliare una percentuale consistente di copertura del fabbisogno (si stima il 25%), triplicando la parte che deve essere importata dall’estero, già oggi molto consistente.
Non si tratta certamente di rigettare lo sviluppo e l’importanza delle energie cosiddette pulite, ma far collimare la crescente fame di energia, le ristrettezze produttive e al contempo l’obiettivo di decarbonizzare la società (cioè azzerare le emissioni di CO2) sembra facile quanto una fusione (a caldo) tra Lugano e Ambrì…
Certamente, la via del nucleare è irta di ostacoli, sia per i tempi che per la decisione popolare del 2017 di abbandonare questo tipo di energia. Ma notoriamente, solo gli sciocchi non cambiano mai idea, soprattutto di fronte a sviluppi tecnologici che comunque meritano di essere approfonditi. Perché, nel contesto internazionale, gli attori maggiori si muovono in questo senso, con colossi come Cina, India e Russia che si muovono decisi nell’ottica nucleare con progetti in fase di realizzazione. Analogo discorso vale per gli Stati Uniti e per il nostro vicino tradizionalmente “nuclearista” come la Francia. Va detto che la Cina si è lanciata parallelamente nella sperimentazione di fonti differenziate, aggiungendo al nucleare pure il fotovoltaico (nel quale è leader), passando per l’eolico. Disponendo al contempo della riserva più ampia di carbone in tutto il mondo.
Costi per tutti
L’esplosione dei costi dell’energia sta già flagellando molti Paesi e segnali inquietanti si percepiscono anche da noi. Da questo fenomeno nessuno è escluso, perché sarebbe errato pensare che ne siano colpiti solo i cosiddetti grandi consumatori, cioè in particolare le aziende di ampie dimensioni. Il rincaro galoppante dell’elettricità, del gas e del gasolio, della benzina colpisce tutti indistintamente e in proporzione alle loro abitudini, comprese quindi le famiglie e le cittadine e i cittadini in generale. Nei consumi, infatti, secondo le statistiche dell’Ufficio federale dell’energia, la parte principale è costituita dalle economie domestiche con circa il 33%, seguite dall’industria e attività manifatturiere (30%), dai servizi (27%) e dal traffico (8%). Ben si capisce quindi gli effetti importanti se agli aumenti succitati sommiamo quelli delle altre materie prime che servono ad esempio alla costruzione di pale eoliche e pannelli fotovoltaici, ecco che si crea un mix micidiale di rincari su ogni fronte. Rincara la realizzazione di siti produttivi e rincara il “prodotto finito”. Sarebbe illusorio pensare che vi siano soluzioni facili e a portata di mano, soprattutto perché si tratta di un problema complicatissimo, di dimensione mondiali, in cui si intersecano anche interessi geopolitici notevoli e speculazioni varie. Impensabile che nella nostra piccola realtà cantonale si possano fare miracoli, visto che anche la Confederazione fatica ad orientarsi.
Non va però dimenticato l’articolo 89 della Costituzione federale che sancisce come “nell’ambito delle loro competenze, la Confederazione e i Cantoni si adoperano per un approvvigionamento energetico sufficiente, diversificato, sicuro, economico ed ecologico, nonché per un consumo energetico parsimonioso e razionale”. Teniamo a sottolineare il termine “diversificato”, e non è casuale. Dell’elenco degli obiettivi sembra in effetti l’elemento al momento più trascurato e non rispettare i dettami costituzionali, anche se a volte sembrano concetti astratti, non è mai una buona cosa (senza tirare in ballo le implicazioni giuridiche).
Riconsiderare la politica energetica, unitamente a quella ambientale, non è quindi solo una questione di opportunità ma è un obbligo costituzionale che incombe a Confederazione e cantoni nei rispettivi ruoli. Le belle teorie, certo accattivanti per vincere elezioni e votazioni, stanno mostrando i loro limiti. Difficile pensare che la popolazione accetti di buon grado limitazioni nei consumi o importanti rincari imposti in nome di un presunto interesse generale (vedi l’esito della votazione sul CO2, affossata sostanzialmente perché giudicata troppo costosa per i singoli cittadini). Del resto, per ridurre i consumi si invoca spesso il progresso tecnologico, non si capisce perché questo principio non dovrebbe valere per le discussioni sui mezzi di produzione dell’energia.
Nell’ambito dei consumi, ad esempio, le aziende stanno dando da anni esempi molto probanti di risparmi e misure votate all’efficienza energetica, come facilmente rilevabile dai lavori dell’Agenzia
dell’energia per l’economia (enaw.ch).
Nessuna novità
Il mix di energie non è del resto una novità nel sistema elvetico. Attualmente le centrali nucleari svizzere producono circa il 33% di elettricità, il 7% circa è generato dalle energie eolica e solare e il 60% dal settore idroelettrico. Attenzione queste cifre indicano i rapporti della produzione indigena, diversi sono quelli dell’origine dell’energia distribuita, perché entra in linea di conto quanto importato dall’estero. Ma non è questa la sede per entrare in troppi tecnicismi, molte informazioni possono essere evinte dal sito internet dell’Ufficio federale dell’energia e da www.strom.ch.
Il fatto è che, già oggi malgrado una strategia basata su varie fonti energetiche, a causa di vari fattori come il clima e le fluttuazioni stagionali, la produzione in Svizzera di energia solare ed eolica ha una parte ancora ridotta, malgrado l’incremento del fotovoltaico nel 2020 grazie in particolare all’installazione di impianti per il consumo privato. Difficile, se non impossibile recuperare questo divario, soprattutto se dal 2035 non vi fosse più il nucleare. Con le attuali 42 turbine eoliche non si va molto lontano, visto che ce ne vorrebbero 6’000. E sapendo le discussioni che questi impianti generano, così come l’eventuale innalzamento delle dighe, il tutto non è molto rassicurante e la realizzazione rapida sembra più un ideale che una realtà concreta.
Per dare un’idea, qualche settimana fa una malcapitata aquila reale è stata decapitata da una pala eolica in Svizzera romanda. Il povero pennuto è uno dei circa 800 consimili che sciaguratamente incocciano contro queste strutture. Inevitabile la levata di scudi di chi non ama le pale eoliche sul territorio e delle associazioni di difesa degli uccelli, che tradizionalmente sono favorevoli alle energie cosiddette pulite. Un accenno di schizofrenia che evidentemente complica ancora di più una situazione già intricata. Con tutto il rispetto per le specie animali e gli uccelli in particolare, forse è bene ricordare che, come sottolinea la Confederazione, 30 milioni di volatili sono uccisi dai gatti, 5 milioni si schiantano contro i vetri e 1 milione è vittima delle automobili. Così, per dare il senso delle proporzioni sul tenore delle discussioni, visto che finora nessuno ha ancora pensato a proibire la caccia ai gatti (o a proibire i gatti tout court) o a obbligarci a vivere senza finestre (il che farebbe crescere ulteriormente i consumi energetici soprattutto in inverno).
Aneddoti a parte, è chiaro che le pale eoliche, al di là dei costi di realizzazione, si scontrano con opposizioni pianificatorie e interessi divergenti di ogni tipo, anche da ambienti di solito non ostili. Facile immaginare cosa succederebbe per realizzare le superfici necessarie di pannelli solari (pari a circa 19mila campi di calcio, contro i 1’800 odierni), in termini di discussioni interminabili. E intanto si vuole abbandonare il nucleare… Una volta dismesse le due centrali di Beznau e quelle di Gösgen e Leibstadt, ci sarebbe il forte rischio che la Confederazione possa essere costretta a comprare all’estero ancora più energia, prodotta, magari, da impianti nucleari o col carbone, mentre noi facciamo i puristi. E la dipendenza dall’estero, comprese le fluttuazioni di prezzo, crescerebbe ancora.
Quali misure a breve?
Visto che è difficile procedere in tempi rapidi a modifiche strutturali, va valutato se vi siano margini per altre manovre anche di tipo congiunturale. La Svizzera, a nostro avviso giustamente, non ha la tradizione interventista come ad esempio la Francia, dove sono state bloccate le bollette dell’elettricità per i cittadini. Misura certamente popolare in tempi di elezioni presidenziali, ma che sposta solo il problema, perché comunque qualcuno (leggi: il contribuente) sarà chiamato a pagare presto o tardi, oppure in altro modo. Ciò detto, nulla proibisce che vi sia una presa di coscienza comune e un dialogo costante fra, nel nostro caso, le aziende, la politica e i produttori e i distributori di energia. In momenti difficili è ragionevole pensare che su certi aspetti della base contrattualistica si possa magari ragionare, anche solo per misure temporanee.
*Dal sito della Camera di Commercio ticinese