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Analisi
14.10.20 - 17:280
Aggiornamento: 17.10.20 - 11:17

Del lockdown

La questione non è se questa ipotesi sia da considerare oppure no, ma se è possibile evitarla

di Andrea Leoni

Centodue nuovi contagi in ventiquattro ore sono un dato che scuote le emozioni, ma non deve ottenebrare la mente. Fabio Pontiggia lo scrive da giorni e ha ragione: paragonare il centinaio di casi odierni con altri cento di un giorno dello scorso marzo, è sbagliato. Perché allora si facevano i tamponi soltanto ai malati gravi, mentre oggi, per fortuna, si fanno a tappeto o quasi. Dalle indagini sierologiche effettuate nel nostro Cantone si è stimato che circa 30’000 ticinesi hanno contratto il Covid durante la prima ondata. Con i test ne avevamo intercettati circa 3’000-3’500.

Gli ospedali, inoltre, non mentono mai. Per ora sono vuoti ed è un altro elemento che va tenuto sempre ben presente nei ragionamenti. Anche se l’esperienza ci ha insegnato che l’onda del Coronavirus si abbatte sul sistema sanitario a distanza di settimane e dopo essere montata parecchio.   La metafora dello tsunami è calzante: quando il maremoto s’innesca non si vede, né da riva, né dal mare. E passa diverso tempo prima che l’ondata si manifesti sulle coste con tutta la sua forza distruttrice. A quel punto, se non hai evacuato, è troppo tardi.

Ma se i dati nudi e crudi dei bollettini di giornata, come detto, devono essere contestualizzati in questa nuova fase,  ad allarmare sono altri segnali. Come l’impennata dei contagi - che pare ormai essere in un trand esponenziale - e la percentuale di tamponi positivi sulla massa dei test, oggi in Svizzera siamo al 15%. Tanto. Anche ciò che accade nel resto dell’Europa ci suggerisce che siamo ormai dentro o nell’imminenza di una seconda ondata. Quanto sarà cattiva, nessuno può dirlo. Ed è solo ottobre.

Occorre restare umili, prudenti e socratici, perché questo virus continua a sorprenderci. Chi scommetteva che le riaperture di maggio-giugno avrebbero rinfocolato l’infezione - io fra questi - ha toppato; chi credeva che il virus si fosse rabbonito, o addirittura fosse scomparso con l’estate, oggi deve ricredersi. Tutti hanno sbagliato qualche previsione. 

Ciò che non è ammissibile è il panico. Tra l’inverno e la primavera scorsa non sapevamo nulla del Covid19, ed era quindi normale che la paura dettasse alcune scelte. Oggi ne sappiamo di più e questo fattore deve pesare nelle decisioni preventive e nei buoni comportamenti. Ciò che non è cambiato, però, e lo ripetiamo per l’ennesima volta, è che è il virus a comandare. E i Governi di tutto il Mondo cercano come possono, e per quanto possono, di arginarlo con le più disparate strategie.

Il dibattito sull’opzione di un nuovo lockdown, è stucchevole. La questione non è se questa ipotesi sia da considerare oppure no, ma se è possibile evitarla. Nessuno può dare una risposta definitiva e sincera a questa domanda. Del resto anche Norman Gobbi, che per tutta l’estate ha bollato come “impossibile” una nuova chiusura generalizzata, la scorsa settimana ha dovuto saggiamente declassare l’opzione a “extrema ratio”. Se guardiamo fuori dai confini di casa nostra, osserviamo città importanti come Liverpool che stanno affrontato il bis, o Paesi estremamente evoluti e con un controllo capillare della popolazione come Israele che, proprio oggi, ha rinnovato il lockdown fino al 18 ottobre.

Sul tema le parole di maggiore serietà e buonsenso le ha espresse il ministro Raffaele De Rosa: “Faremo il possibile per evitarlo, ma non può essere escluso”, ha detto ieri sera intervenendo a Matrioska su TeleTicino. Ma il direttore del DSS ci aveva espresso lo stesso concetto in tempi non sospetti, in piena estate, quando i casi in Ticino si contavano sulle dita di una mano, alla peggio. 

A questo proposito è legittimo chiedersi se sia sufficiente per arginare la pandemia, la tanto decantata responsabilità individuale. O in che percentuale la popolazione debba essere davvero ligia alle regole, per tenere a bada il contagio. Guardando in casa nostra, e anche fuori, non può sfuggire che in regioni in cui da tempo sono state adottate le misure restrittive che il Ticino si è dato negli scorsi giorni, il Covid continua a galoppare alla grande. Anche laddove le mascherine sono obbligatorie all’aperto o bar e ristoranti sono stati chiusi. Sappiamo più che della scorsa primavera, ma c’è ancora molto che ci sfugge su questo virus. Il ruolo delle scuole, ad esempio, non è ancora per nulla chiarito.

Il panico non è ammissibile, ma forse ci toccherà qualcosa di peggio. Accettare che i contagi possono sfuggire di mano al di là dei buoni comportamenti, e se ciò accade, non c’è soluzione diversa dal lockdown. A meno che non siamo pronti ad accettare l’alternativa estrema, che esiste e che è stata già sperimentata: il modello svedese. Significa farsi carico di un considerevole numero di morti e che gli ospedali selezionino chi curare e chi no, in base all’età o alle patologie pregresse.

Ovviamente nessuno si augura un nuovo lockdown: è necessario battersi fino all’ultimo affinché la vita sociale, lavorativa e scolastica, continui, in qualche modo, ma continui. Ed è necessario assumersi dei rischi, affinché ciò avvenga. Ma se supereremo un certo limite, come è accaduto altrove, non potremo andare oltre e toccherà arrendersi nuovamente al virus.

E anche dal profilo economico, infine, vi è da porsi una domanda: è meglio un lockdown circoscritto nel tempo, mirato e con relativi aiuti economici oppure avere delle attività costrette a rimanere aperte ma paralizzate o vuote, perché la gente ha paura di uscire o perché falcidiate nel personale dalle quarantene? 

 


 

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