di Andrea Leoni
A me le manifestazioni di piazza piacciono. Sono un segno di vitalità democratica e di calorosa passione collettiva, in un tempo segnato da un individualismo sempre più feroce e da un gelido isolamento digitale. Per questo la protesta andata in scena ieri in Piazza del Governo a Bellinzona porta un contributo positivo al dibattito sulle finanze cantonali e innerva di energia il nostro tessuto sociale, spesso troppo sonnolento. Comunque la si pensi, è stata una bella scossa.
Il preventivo fa schifo, su questo siamo più o meno tutti d’accordo. Fa schifo in particolare per alcuni tagli nel sociale, effettivamente vergognosi. E la somma di questi tagli con la riforma fiscale che il Gran Consiglio si appresta ad approvare - riforma che, tra provvedimenti doverosi, prevede anche uno sgravio ai ricchi - provoca un cortocircuito che è difficile non chiamare per nome: ingiustizia sociale. Politicamente insostenibile.
Sia ben chiaro: noi non proviamo alcuna invidia verso chi ha molti denari e, grazie alle imposte, contribuisce in maniera determinante al finanziamento della nostra rete sociale, tra le più generose ed ammirate in Svizzera. Per questo riteniamo ragionevole uno sgravio a vantaggio di questi contribuenti. Ma c’è un tempo per ogni cosa e se oggi si vuole davvero passare sotto l’accetta gli istituti per invalidi e i sussidi di cassa malati, non si può al contempo approvare questa agevolazione per i più benestanti.
La piazza, come è giusto che sia, parla con il linguaggio della pancia, che sono gli slogan. Ovviamente Sergio Morisoli e il suo decreto sono stati i bersagli preferiti della protesta. Il problema è che anche se il decreto babau - comunque approvato dal popolo - non fosse mai esistito, c’è un’altra legge, di rango costituzionale, sempre approvata in votazione dai ticinesi, che impone grosso modo la stessa minestra. Meglio: la stessa dieta.
Vero è che, a differenza del “Morisolum", il freno al disavanzo offre la possibilità di ribaltare dei compiti sui comuni (è questa la soluzione?) ed aumentare le imposte (a patto che vi sia il voto di due terzi del Gran Consiglio). Una maggioranza che oggi non esiste e dunque siamo punto e a capo.
Non è alla piazza che vanno chieste soluzioni ma a tutti coloro che siedono in Gran Consiglio. Immaginando che nessuno voglia mandare a carte e quarantotto le finanze, occorrerà scegliere una tra le poche strade possibili.
L’ipotesi che ci sentiamo di suggerire è di non impiccarsi alle leggi di rigore finanziario, ma agire con pragmatismo. Dei 134 milioni di misure presentate dal Governo, i milioni davvero indigeribili sono una trentina, mal contati. Se si riuscisse a fare un primo passo di un centinaio di milioni verso il risanamento, sarebbe un passo sprecato? Noi non crediamo. E pur agendo al di fuori dei parametri legislativi, nessuno manderà la polizia ad arrestare ministri o deputati.
Chiuso questo preventivo, occorrerà però cambiare metodo di lavoro. Un Governo che agisce in solitaria e in segretezza, non avrà molte possibilità di successo. Occorre coinvolgere il Gran Consiglio già dai lavori preparatori del prossimo pacchetto, oltre a dotarsi di nuovi strumenti di lavoro (a cominciare da un’analisi esterna della spesa). Occorrerà altresì avviare per tempo anche delle consultazioni con tutti gli attori interessati. Solo così si potrà costruire un consenso, anziché un pasticcio come l’ultimo preventivo, calato sul Paese con la delicatezza degli elefanti.
A coloro che ieri sono scesi in piazza e che oggi giustamente godono del successo e dell’entusiasmo dell’adunata, consigliamo di non trasformare quell’energia positiva in illusione. Questo Cantone ha appena eletto due senatori di centrodestra, tre Consiglieri Nazionali di Lega e UDC, ha riconfermato lo stesso Governo ad aprile e prima ancora aveva approvato il decreto Morisoli. Il compromesso sui conti andrà giocoforza trovato con la maggioranza silenziosa di centrodestra.