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18.11.19 - 23:160
Aggiornamento: 20.11.19 - 10:20

Caro Filippo, ieri sera ti ho scritto: “Certo che per 45 voti ti girano i c…”. Tu mi hai risposto “Oh, sì!”. Ma quando i riflettori si spengono sta a noi illuminare il nostro cammino

Il film che rivedo non è quello degli ultimi tuoi vent’anni in casacca da senatore o della tua pastorale come sacerdote dell’Ambrì. È quello degli ultimi trentadue anni che in qualche modo ho vissuto e condiviso con te

Oggi, non ieri, perché ieri era il momento dello stupore… Dell’incredulità, forse, senza nulla togliere al valore dei tuoi avversari.

 

Lo stupore (con il suo carico antagonista di gioie e di dolori, di illusioni e di delusioni) è lo spartiacque mentale che stabiliamo tra le cose che succedono, o che ci succedono, per separare razionalmente il possibile dall’impossibile, il previsto dall’imprevisto, il prevedibile dall’imprevedibile, senza pensare che nella nostra incapace incapacità di prevedere gli accadimenti, a partire dalla nostra fragile vita di ogni giorno, dovremmo umilmente considerare come metro di misura unicamente il probabile e l’improbabile.

 

O, semplicemente, accettare ciò che accade come parte della Commedia umana, per dirla con Balzac, che siamo chiamati a recitare. E non sapremo mai dire, comunque, in che misura l’abbiamo scelta fino in fondo noi.

 

Ieri sera ti ho scritto: “Certo che per 45 voti ti girano i coglioni…”. Tu mi hai risposto “Oh, sì!”. Ma così è… E indietro non si torna. Certamente la tua mancata rielezione agli Stati ha creato stupore. Pochi l’avrebbero immaginata, perché eri l’unico uscente e tra i concorrenti il più ‘blindato’.

Ma il tema di queste riflessioni non vuole essere un’esegesi biblica del voto di ieri. Del resto la Storia è qualcosa che va ben oltre, ma molto oltre, le dinamiche di questo quartiere di Milano, come lo definiva il Nano…

 

Comunque sia, oggi, non ieri, mi sono passati davanti agli occhi questi tanti anni.

 

Come un film. Che inizia in bianco e nero e poi, con l’andar del tempo, si colora, e nuovamente si scolora. Frammenti di pellicola. Come la memoria, che a tratti appare più nitida, anche se è lontana e perduta nel tempo. È l’intensità di ciò che abbiamo vissuto che rende un ricordo più importante, o semplicemente più significativo, di un altro. Non la sua distanza dal nostro presente sul piano cartesiano dello spazio-tempo.

 

Io e te ci ricordiamo e condividiamo tante scene, tanti episodi, tanti momenti che ci appartengono e ci legano. Alcuni sono soltanto nostri, e sono quelli che hanno più valore.

 

Il film che rivedo non è quello degli ultimi tuoi vent’anni in casacca da senatore o della tua pastorale come sacerdote dell’Ambrì. È quello degli ultimi trentadue anni - ho fatto i conti con la calcolatrice – che, a contare indietro nel tempo, in qualche modo ho vissuto e condiviso con te.

 

Da quando mi assumesti al Giornale del Popolo, che eri da poco stato chiamato a dirigere, a quando ti ho odiato sette anni fa per come sono andate a finire le cose con TeleTicino, che con passione e fatica avevamo costruito insieme.

 

Tra scazzi, azzardi, segreti, successi, abbracci e vaffanculo, una profonda amicizia o, non so come definirla, una magica radice doppia di mandragora, che è in parte tua e in parte mia, ci lega. Antidoto a qualsiasi veleno.

 

Quando ieri pomeriggio, ero in diretta a TeleTicino, ho saputo che non eri stato rieletto sono rimasto in silenzio per qualche minuto a pensare, guardando le immagini di te che scorrevano sullo schermo. Con quella giacca un po’ troppo larga che indossavi. E mi è venuta in mente un’immagine di te, quest’estate, a un concerto di Moon & Stars a Locarno dove ti ho visto e sentito solo. Forse hai volato troppo in alto. Per me, e per molti. Ma è stata la tua scelta, almeno in parte.

 

Quando i riflettori si spengono, e la vita me l’ha insegnato, sta a noi illuminare nuovamente la nostra scena e il nostro cammino. Ho in mente che tu hai più volte usato una piccola torcia elettrica come gadget per le tue campagne, anche per l’ultima. Usala ora.

Non è un epitaffio. È un inno alla vita, caro Filippo.

 

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