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Cronaca
21.02.22 - 16:300
Aggiornamento: 23.02.22 - 11:48

"Suisse Secrets", il sospetto di Alfonso Tuor: "Sembra un attacco alla piazza finanziaria svizzera"

Il popolare giornalista economico "legge" per noi lo scandalo che ha investito Credit Suisse: "Questa "mazzata" potrebbe portare a un'acquisizione della banca"

LUGANO - Sospetti e ipotesi. Alfonso Tuor non ha certezze nel commentare “Suisse Secrets”, lo scandalo che ha investito il Credit Suisse a seguito di un’inchiesta condotta da un consorzio giornalistico internazionale e pubblicata su alcune prestigiose testate di mezzo Mondo con il titolo "Suisse Secrets". Tutto nasce da una talpa interna all’istituto di credito che ha trafugato i dati sui conti di alcuni “impresentabili” e li ha passati ai giornalisti che hanno condotto l’indagine. Tra i clienti della banca figurano malavitosi, dittatori o ex con i rispettivi famigliari, generali, narcotrafficanti e così via. 

Credit Suisse, attraverso una nota stampa, ha fermamente respinto le accuse. “I fatti riferiti - ha scritto l’istituto - sono principalmente remoti, risalendo in alcuni casi addirittura agli anni Quaranta del secolo scorso. Ciò che viene riportato è basato su informazioni parziali, inaccurate o selettive che, estrapolate dal loro contesto, danno adito a interpretazioni tendenziose riguardo la condotta della banca”.

A seguito delle numerose sollecitazioni da parte del consorzio giornalistico che ha condotto l’inchiesta, Credit Suisse “ha esaminato un consistente numero di conti potenzialmente associati alle tematiche in questione. Circa il 90% dei conti esaminati è oggi chiuso o era in corso di chiusura prima della ricezione delle richieste dei media, in più del 60% dei casi prima del 2015. Riguardo ai rimanenti conti attivi, possiamo assicurare che sono state applicate le opportune procedure di due diligence, verifiche e altre misure di controllo in linea con il nostro quadro di riferimento attuale. Continueremo a esaminare i casi in questione e ad adottare ulteriori provvedimenti, se necessari”.

Fin qui, il sunto della vicenda. Veniamo ora alla riflessioni di Alfonso Tuor.

Alfonso, innanzitutto una prima riflessione generale sulla vicenda.
“Questo caso mi colpisce molto perché quando ci sono attacchi contro un solo attore di una sola piazza finanziaria, mi corre l’obbligo di chiedermi a chi giova. La Svizzera non è più il luogo privilegiato per riciclare denaro sporco o per nasconderlo da parte di personaggi poco raccomandabili. Se guardiamo la piazza di Londra, visto che in questi giorni si parla tanto di Russia ed Ucraina, i grandi oligarchi russi sono tutti lì. Per non parlare degli Stati Uniti che sono diventati il più grande centro di riciclaggio del Mondo. Tutto questo mi fa venire il sospetto, e sottolineo sospetto, che si voglia semplicemente attaccare la piazza finanziaria svizzera”.

Chi avrebbe interesse a farlo e perché?
“Perché la piazza svizzera dà molto fastidio per la sua forza nel private banking, dove si sono buttate tutte le banche americane, le quali hanno certamente piacere a fomentare un clima ostile e ad infangare l’immagine del nostro Paese. Mi sovviene alla mente il caso dei fondi ebraici, promosso in larga parte dall’amministrazione Clinton: al termine di tutte le inchieste si appurò che i soldi depositati nelle nostre banche erano pochissimi. “Peanuts”, noccioline, come ebbe modo di dire l’allora presidente dell’UBS Robert Studer, scatenano un pandemonio. Ma il danno d’immagine per la Svizzera fu enorme”.

Eppure, il modus operandi dell’inchiesta sembra molto simile a quella che ha scoperchiato i Panama Papers. Cosa c’è di diverso?
“È molto diverso. I Panama Papers esistevano e lo sapevano tutti e tutti li utilizzavano. Quello scandalo ha colpito indistintamente le varie piazze finanziarie del globo e i rispettivi governi. Qui viene presa di mira solo la Svizzera e la sua banca più debole. E questo è molto strano”. 

Perché più debole?
“Tanto per cominciare perché è rimasta invischiata nelle perdite di 5 miliardi con il fondo USA Archegos. Poi mettiamoci le dimissioni del nuovo presidente per le note violazioni delle norme Covid. E infine, ma non da ultimo, perché dal punto di vista borsistico non decolla. Questa vicenda potrebbe essere la “mazzata” che, a seguito di un ulteriore calo delle azioni, potrebbe favorire un acquisto del Credit Suisse da parte di una banca straniera o di un private equity. Questa è solo un’ipotesi. Però…”.

Cosa rischia Credit Suisse?
“La FINMA è dovuta intervenire, ovviamente. Vedremo che cosa scaturirà dagli accertamenti. E non dimentichiamoci che attualmente Credit Suisse è sotto processo al Tribunale penale federale di Bellinzona, poiché accusata di legami con la mafia bulgara. La banca rigetta seccamente le accuse, ma se dovesse essere condannata rischierebbe altri guai seri, anche con la FINMA”. 

Ma quali sono le regole per i conti degli “impresentabili”?
“Le regole sono state cambiate, se non sbaglio nel 2015, con la normativa VIP emanata dalla FINMA, dove si impone di prestare la massima attenzione sulla provenienza dei soldi di persone molto conosciute, come lo sono una parte dei nominativi usciti da “Suisse Secrets”. E qui c’è un’altra cosa che mi stupisce. Tutti sanno, nell’ambito bancario, che è molto più pericoloso aprire un conto a un dittatore che a un mafioso. Perché i mafiosi usano i prestanome, mentre ogni volta che cade un dittatore, il nuovo dittatore viene a chiedere indietro i soldi” 

Ti fidi delle spiegazioni fornite da Credit Suisse?
“La mano sul fuoco per loro non la metto sicuramente. Ma, ripeto, mi sembra tutto molto strano. È troppo mirata questa inchiesta”

Infine, da giornalista, ti chiedo un commento sulla legge sulle banche che ha frenato molti dei nostri media dal partecipare alle indagini di “Suisse Secrets”, in quanto i giornalisti svizzeri rischiano sanzioni nel caso scrivano o riportino informazioni basate su dati rubati o trapelati illegalmente. L’area rossoverde ha chiesto di eliminare questa restrizione. Cosa ne pensi?
“Hanno ragione. Questa legge è semplicemente inaccettabile, perché costituisce una grave limitazione alla libertà di stampa”.

AELLE

 

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