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Cronaca
28.05.21 - 13:300
Aggiornamento: 11.06.21 - 16:07

Caro Matteo...

La meravigliosa anomalia, i successi irripetibili, l'allineamento dei pianeti e il ritorno a casa del più bravo di tutti

di Andrea Leoni

Inizio dell’anno o giù di lì. Una giornata invernale ammantata di grigiore, di quelle che ti sembra di sentire sulle spalle tutto il peso delle nuvole e del Mondo. Ricordo la pioggia ma non ne ho certezza. Squilla il telefono, è Matteo. Sono telefonate dense ma fulminee, solitamente. Cinque, dieci minuti al massimo se proprio va per le lunghe. Non quella volta.

Matteo è stanco, malinconico, quasi svuotato e io…io non l’avevo mai sentito così. Il contenuto del discorso resta tra noi ma l’umore che detta i pensieri è scarico come la dinamo di una bicicletta con la gomma a terra. Per capire quanto fosse spiazzante quella telefonata bisogna conoscerlo, il Teo. Iperattivo, che svolazza frenetico come una libellula perfino quando marcia sul posto, che dice una cosa e ne pensa altre tre, senza perdere il filo, che un passo prima di mettere il piede sul traguardo ha già la testa alla prossima meta, che fa dell’entusiasmo e della creatività due serbatoi che si alimentano a vicenda.

“Sarà la pandemia…”, ci diciamo a vicenda. Siamo in piena seconda ondata, tanti progetti sono rimasti nel cassetto, altri sono stati cancellati e gli sbalzi d’umore sono folletti che hanno cominciato a popolare le nostre giornate. Ci salutiamo con quel sospiro consolatorio che accompagna il sorso finale dell’ultimo drink, quando il locale sta chiudendo, le luci sono spente e e le sedie sono già sui tavoli attorno. Ci credi sul momento anche se sai che non è vero.

Non era solo la pandemia. Erano i primi sintomi di un ciclo esaurito, di un lavoro compiuto. Una febbriaciattola che comincia  a suggerirti che forse hai dato tutto, che il massimo è stato raggiunto. Maturare in coscienza momenti del genere è sinonimo prima di tutto di grande pulizia d’animo e intellettuale. Matteo è anche questo.

Questa consapevolezza lievitata nel tempo e consolidatasi nell’ultimo periodo ha trovato un incastro perfetto con i cambiamenti in atto alla RSI: c’è stato un allineamento dei pianeti. La nomina di Mario Timbal alla direzione ha creato le premesse perché un ritorno a casa di Matteo diventasse da impossibile a possibile. Ma nulla di concreto c’è stato prima dell’addio di Milena Folletti, lo scorso aprile. La trattativa è partita lì. Un negoziato lampo ma che ha seguito il suo iter: un assessment oltre Gottardo, colloqui di valutazione con la CORSI, fin su al Consiglio d’Amministrazione della SSR, una settimanella fa, quando la pratica si è chiusa positivamente, fino alla nomina ratificata questa mattina.

Tutti quelli che dovevano sapere, sapevano. Nulla è stato fatto di nascosto o alle spalle di chicchessia: troppo bella e importante la storia che si andava a concludere per sporcare l’ultimo capitolo con la macchia di un tradimento. “Farewell” di Francesco Guccini è stata la canzone che ha accompagnato Matteo in questa scelta. “E sorridevi e sapevi sorridere/coi tuoi vent’anni portati così/ come si porta un maglione sformato su un paio di jeans”, l’incipit che abbiamo cantato insieme mille e più volte.

Mario Timbal comincia il suo mandato alla guida della radiotelevisione pubblica con un “colpo” eclatante alla Florentino Perez, era Galacticos: è andato sul mercato e ha preso il più bravo di tutti. È una mossa che, al di là della mediaticità e del valore assoluto dell’acquisto, tratteggia  lo spessore del suo essere manager. Sa benissimo che da oggi non si parlerà più di una RSI a guida Timbal ma Timbal-Pelli. Ci sono direttori che non vogliono i migliori perché temono di finire all’ombra e ci sono capi che invece se ne circondano proprio perché sanno che quell’ombra è in realtà una luce che illuminerà anche il loro lavoro e quello dell’intera azienda. Quella di Timbal è quindi un’operazione da grande direttore, portata a termine con un corteggiamento silenzioso ed elegante. E non possiamo che augurarci che questi due quarantenni al comando sappiano imprimere alla RSI quella svolta di cui la radiotelevisione pubblica ha tanto bisogno, per proiettarsi da protagonista, con fiducia e coraggio, nel futuro. Se non ce la fanno questi due a fare la rivoluzione, non ce la fa nessuno. E se conosciamo un pochino Matteo c’è già una Moleskine che trabocca di progetti, descritti un po’ a parole e un po’ a disegni.

Ma ci sarà tempo per parlare della nuova RSI. Oggi è giusto raccontarci tutto il bello che c’è stato. I sentimenti sono contrastanti, come negli addii più sinceri. Da un lato c’è il dispiacere, forte, intenso, doloroso, nel perdere un compagno di lavoro, benché occasionale (e posso solo immaginare cosa provi chi ha lavorato con lui fianco a fianco, quotidianamente). C’è già nostalgia per i caffè in corridoio, le chiacchiere in ufficio, le pizze al trancio sul mezzogiorno, i messaggini del mercoledì mattina con i dati d’ascolto, i suggerimenti sulla trasmissione sempre sussurrati e mai imposti. Un altro sentimento che gorgoglia impetuoso tra le viscere e il cuore, è quello della gratitudine. Scegliendo di riproporre Matrioska Matteo Pelli - con Sacha Dalcol e l’affettuosa e discreta complicità di Luca Sciarini - ha sanato una ferita professionale profonda e dolorosa. Abbiamo potuto tornare a casa dalla porta principale. Non era dovuto, non era scontato, non è stato semplice. Grazie.
E poi c’è la felicità. La gioia nel vedere una persona amica raccogliere i frutti del suo lavoro e tornare nel luogo dove si è formato e nel ruolo che gli spetta. Il vertice della RSI è l’approdo giusto per Matteo e chi gli vuole bene non può che pensarla così. I suoi otto anni a Melide sono stata una bizzarria bellissima e romantica, come Zico all’Udinese, ma la sua dimensione è un’altra. Il suo talento, la sua creatività, la sua crescita manageriale necessitano oggi di altri mezzi e altri spazi per potersi esprimere compiutamente. Occorre alzare l’asticella della sfida, soprattutto per uno che ha l’adrenalina competitiva di un centometrista.

Per Matteo la direzione di Radio3i e TeleTicino è stata una formidabile palestra di formazione, creatività e affermazione professionale e umana. Ha lasciato Comano da giovane e rampante conduttore di punta perché scontento e affamato di nuovi percorsi di crescita. Ha accetto una sfida in “provincia” piena d’incognite e d’insidie, ma dove gli è stato concesso di potersi esprimere su carta bianca. L’ha stravinta e oggi - otto anni, una moglie e tre figli dopo - torna a casa uomo con tutti gli onori che si è sudato sul campo, lavorando come un pazzo e con un bagaglio di esperienza che lo rendono attrezzato ad assumere la nuova responsabilità.

Vale la pena soffermarsi sul concetto di merito. A Matteo c’è ancora qualche stolto che rinfaccia la stirpe, per adombrare i suoi successi. Puttanate solenni. La verità è che i suoi risultati sono semplicemente irripetibili: non si sono mai visti prima e non si vedranno dopo. Ha preso una radio al 5% e l’ha portata al 15. Qualcosa che assomiglia a un miracolo. “E i risultati migliori di sempre, quelli dell’ultimo periodo, Radio3i li ha ottenuti senza che facessi un minuto di conduzione”, mi aveva detto con orgoglio da direttore durante l’ultima intervista natalizia. Significava che il progetto era ormai talmente forte e collaudato da poter fare a meno della sua presenza in onda. Anche TeleTicino ha raddoppiato sotto la sua guida. Numeri molto più piccoli, d’accordo, ma con punte di ascolto mai registrate, da grande network: pensiamo ai derby di hockey, alle serate speciali di Capodanno e Carnevale, alla maratona di “Sotto a chi tocca”, al Guinness dei primati radiotelevisivo con i Blues Brothers (un’altra sua creatura). Io li chiamavo i suoi colpi da tacco. Purtroppo la tv, a differenza della radio, è un mezzo carissimo. Ogni programma per andare in onda necessita dell’impiego di molte persone. E se vuoi aumentare la resa, spaziando anche nell’intrattenimento, i costi esplodono e diventano insostenibili per una piccola realtà. Cosicché se a Radio3i Matteo ha avuto la possibilità di esprimersi a pieno, a TeleTicino ha dovuto limitarsi, ritagliandosi degli eventi occasionali. Con grande realismo, durante il suo percorso televisivo, ha riorientato la tv sul suo core business, che è l’informazione regionale, di cronaca e sportiva. E la pandemia, così come il nuovo studio televisivo, hanno suggellato questo percorso. Oggi TeleTicino è perfettamente centrata sulla sua missione, ma per natura non è né può essere la tv di Matteo.

Ma i successi non si costruiscono sui colpi di tacco, che senza sostanza sono magia effimera, velleità circensi. Si diceva prima dei direttori che attraggono e respingono i migliori. Ecco, Matteo è una calamita di purosangue. Più sei bravo e più ti tiene vicino. In questi anni ha scovato, svezzato e imposto talenti in erba, ha fatto crescere chi stava nel mezzo, ha valorizzato le gemme preziose che già aveva in casa, in ogni settore. Ma al di là delle qualità personali di ognuno ha tenuto dentro tutti nel progetto, riserve e titolari, numeri dieci e terzini, offrendo un’opportunità, uno spazio, tempo. E così ha creato una squadra, una vera squadra, pronta a gettare il cuore oltre l’ostacolo e a buttarsi nel fuoco per seguire il suo leader. Se devo citare un fattore che ho imparato osservando il suo modus operandi, dico l’esempio. Il Matteo che ha una parola e un’attenzione particolare per tutti. Il Matteo che ti porta il caffè e i pasticcini nella pausa della diretta o i gipfel durante le riunioni. Il Matteo che fa il parcheggiatore quando arrivano gli ospiti e poi se occorre li trucca pure, prima di accompagnarli in studio. Piccoli gesti che creano un clima e tracciano un vademecum nei comportamenti e nelle attitudini. 

E ora che succederà senza di lui? Ci sono allenatori che quando se ne vanno lasciano veleni e macerie ed altri che passano il testimone offrendo in eredità progetti solidi e persone pronte a proseguire. Matteo è stato al contempo il capo pasticcere e la ciliegina di questo capolavoro, ma la squadra e la torta rimangono e sono in ottime mani. Non c’è persona e professionista migliore di Sacha Dalcol per continuare a sviluppare questo percorso. Non tanto e non solo perché è stato il braccio destro di Matteo sia in radio che in televisione, e dunque saprà garantire continuità nel progetto e nella filosofia, ma perché se l’è meritato con il lavoro, la tenacia, l’umiltà, le intuizioni e i risultati conseguiti giorno dopo giorno. Soprattutto con Sacha non si correrà mai il rischio sempre insito in queste situazioni: quello di scimmiottare chi è partito. È un fuoriclasse del mestiere, è pronto, è credibile, farà benissimo. In questo senso si può dire che anche a Melide e per Sacha, c’è stato un allineamento dei pianeti. Tutto s’incastra e tutto torna.

E così siamo alla fine, ai saluti, agli abbracci, alle tante lacrime di questi giorni, che sembrava Mourinho nel parcheggio del Bernabeu. Cala il sipario sull’anomalia meravigliosa di Matteo Pelli a TeleTicino e Radio3i. Ma sul dispiacere di vederlo andar via prevale il piacere e l’orgoglio di averlo avuto in squadra così a lungo. “È stato meglio lasciarsi che non esserci mai incontrati”, cantava De Andrè. Ed è bello salutarsi senza rimpianti, nella certezza che chi rimane sarà il primo tifoso di Matteo e viceversa. Daje ancora de tacco, Teo!

 

 

 

 

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