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Cronaca
09.06.19 - 18:450
Aggiornamento: 12.06.19 - 09:13

Un cane non è un tamagotchi. Storia di un'amicizia nata per caso e basata sul 'born to be free'

Se decidiamo di condividere parte della nostra vita con un cane dobbiamo partire dal presupposto che non è una creatura che serve a farci un po’ di compagnia o a garantirci qualche momento di pet therapy quando ci sentiamo soli o depressi…

Oggi vorrei parlare di un cane. Il suo nome è Prince, e vive con me da circa un anno e mezzo. È un golden retriever nato in un allevamento della Valle Maggia, e ad agosto compirà tre anni. Il nostro incontro è stato, come spesso accade negli incontri importanti che ci segnano la vita, assolutamente casuale: un anziano signore, che lo aveva preso da cucciolo, si è reso conto che un “golden” non rimane un batuffolo di pelo come nella pubblicità della carta igienica: cresce e ha bisogno di spazi, ed è impossibile costringerlo a vivere in un appartamento. Born to be free, insomma. Ma anche born to run, per citare Springsteen.

 

Così è successo che Prince è venuto a vivere con me. È accaduto nell’imminenza del Natale 2017 e per l’occasione un’amica mi ha regalato un bellissimo libro, “La porta di Merle”, firmato dallo scrittore americano Ted Kerasote, che racconta proprio dell’incontro tra l’autore e un cane, di nome Merle. Un libro che consiglio di leggere a tutti coloro che amano i cani.

 

In quel libro, Kerasote, traccia un costante parallelo tra i cani e i lupi, dai quali discendono. Per esempio, quando dice di essere rimasto stupito per il fatto che Merle abbaiasse raramente: “Quando e dove aveva imparato l’importanza del silenzio?”. E cita Darwin, dicendo che i cani domestici in alcune circostanze preferiscono il silenzio dei loro cugini selvatici. “I lupi, sebbene ricorrano spesso all’ululato, non emettono altro che un sommesso ‘woof’ quando avvertono un pericolo”.

 

Ecco, una cosa che mi ha sorpreso di Prince è che nei primi mesi della nostra convivenza non abbaiava. Era quasi muto. Ora ha imparato a farlo, ma solo in modo selettivo e non da cane psicopatico come ce ne sono tanti. Abbaia e ringhia per proteggere il suo territorio, che ha ben delineato, non appena qualcuno entra in cortile o si avvicina alla porta di casa. Per esempio i postini: quelli proprio non ha imparato ad accettarli, nonostante siano una presenza quotidiana e regolare. Abbiamo quindi adottato una precauzione: finché non arriva il postino Prince se ne sta chiuso oltre il cancello del giardino, oppure in casa.

 

Per il resto, abbai e ringhi aggressivi li dedica quasi soltanto a un paio di cagnolini che passano ogni giorno sotto casa al guinzaglio della loro padrona, e allora si imbizzarrisce e pare sia sul punto di saltar giù dal muretto – che è il suo balcone da comare dal quale osserva ciò che accade - per azzannarli. Per il resto, è un cane pacifico e l’unica volta che l’ho visto mostrare le zanne, che non gli mancano, è stata in risposta al ringhio di un boxer che gli rompeva le balle senza motivo. In quel momento ho percepito il lupo che vive in lui.

 

Adottare un cane non è una decisione semplice: comporta impegno e responsabilità. A parte le scelte alimentari – un cane non è un tritatutto a cui dare gli avanzi del pranzo o della cena, e nemmeno un bambino da viziare con dolci e altre porcate dannose – l’impegno sta nel dedicargli tempo e attenzione.

 

Un golden, per esempio, non puoi pensare di tenerlo non dico in un appartamento, che è una follia, ma nemmeno di portarlo a spasso un’oretta al giorno al guinzaglio e va bene così. Sono animali che hanno bisogno di spazio, di correre liberi nei boschi o sulle montagne, e di sguazzare nell’acqua, che adorano. “Born to be free”, insomma. Chiaro, non sempre è possibile, non sempre ci sono il tempo e le condizioni climatiche per farlo…

 

Però se scegliamo di condividere parte della nostra vita con un cane dobbiamo partire dal presupposto che non è un tamagotchi, o una creatura che serve a farci un po’ di compagnia o a garantirci qualche momento di pet therapy quando ci sentiamo soli o depressi.

 

Una delle prime cose che ho fatto, qualche settimana dopo che ho adottato Prince, è stato portarlo in montagna. Inizialmente al guinzaglio, perché non ero certo che se l’avessi liberato sarebbe tornato. Poi, piano piano, abbiamo imparato a fidarci l’uno dell’altro.

 

L’estate scorsa abbiamo percorso insieme più di cento chilometri sui sentieri di montagna, e raggiunto insieme diverse vette, sulle quali non avrei mai pensato che avrebbe potuto salire, come la cima del Gridone. Se io cammino per una decina di chilometri, lui ne fa il doppio, correndo avanti e indietro senza sosta. L’inverno non ci ha fermati e anche le escursioni sulla neve sono state parecchie. Alla fine il veterinario mi ha detto che in un anno la massa muscolare di Prince è aumentata di un chilo e mezzo e questo mi fatto capire di cosa aveva e di cosa ha bisogno.

- Articolo pubblicato su 'Terra Ticinese' -

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