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10.02.21 - 17:120
Aggiornamento: 11.02.21 - 16:18

Siamo nel Limbo di Rubik

Il desiderio di riaprire. Lo spauracchio delle varianti. I ritardi nei vaccini. E la pandemia ora è un rompicapo

di Andrea Leoni

Ed eccoci qua, nel Limbo di Rubik. Eravamo stati profeti dell’acqua calda lo scorso 25 di gennaio (clicca qui), nel delineare la situazione rompicapo nella quale ci ritroviamo oggi. La curva epidemiologica si è attestata su numeri più che positivi e gli ospedali si sono svuotati (in Ticino meno di cento pazienti Covid in corsia).

Il principale obbiettivo sul quale si poggiavano le chiusure è stato dunque raggiunto con successo, grazie ai sacrifici dei ticinesi e ai provvedimenti imposti dalla Confederazione a tutti i Cantoni. Non dimentichiamoci - non foss’altro che per amor di verità - che con il “passo del montanaro” il Ticino era finito nel burrone, con gli ospedali prossimi al collasso e 55 morti di media alla settimana. E stata la Rega (leggasi la Confederazione) a salvarci imponendoci le restrizioni e a tirandoci fuori dall’emergenza e dai pasticci. Diamo a Berna quel che è di Berna.

Raggiunto lo scopo di aver preservato il sistema sanitario, e con esso decine di vite umane, non scordiamolo mai, è legittimo ed umano che si sia aperto il dibattito sulle riaperture. Ed è proprio su questo punto che si innesta il Limbo di Rubik. Da un a parte, come detto, è venuta meno la principale motivazione a sostegno delle restrizioni, alla quale si somma una sopportazione sociale sempre più vicina al limite, dall’altra sono intervenute nuove preoccupazioni sanitarie (le varianti, più contagiose e probabilmente più letali) che si mescolano, in una pozione potenzialmente deflagrante, con i ritardi nella campagna di vaccinazione.

Sbrogliare questo intreccio di ansie e d’interessi opposti, in un clima da incertezza paludosa, è davvero un compito da mandare ai matti. Tanto è vero che ci ritroviamo con il Jude Law della task force federale Ackerman che ipotizza addirittura un inasprimento delle misure, mentre le associazioni economiche, con buona parte della società, brama allentamenti, al più tardi entro la scadenza fissata dal Consiglio Federale per fine febbraio.

Il caotico contesto internazionale non aiuta ad orientarsi. Israele, tre giorni fa, ha leggermente - ma proprio leggermente - allentato il suo rigido lockdown (mica come quello soft che ci ha imposto Berset), dopo aver già vaccinato una fetta importante della popolazione. In Gran Bretagna, altro Paese virtuoso nelle vaccinazioni, si prosegue con il tutto chiuso. La Germania di Angela Merkel sembra orientata a prorogare il confinamento nel mese di marzo. L’Italia al contrario ha allentato le restrizioni così come l’Austria di Sebastian Kurz. Negli Stati Uniti negli scorsi giorni si è giocata la finale del Superbowl: presenti 25’000 tifosi, ma tutti vaccinati. E chissà cosa si direbbe in Svizzera se alla finale del campionato di hockey si applicasse lo stesso criterio…

Le preoccupazioni della autorità sanitarie sono chiare: il terrore che la variante britannica ci porti a un nuovo collasso ospedaliero o che altre mutazioni che sembrano più resistenti al vaccino (la brasiliana e la sudafricana) prendano piede. Peggio, che una ripresa sostenuta della circolazione virale, accanto a una campagna di vaccinazione ancora agli albori, produca un ceppo resistente ai sieri.  Oltre a ciò va considerato che più la variante è contagiosa (tipo quella britannica) più cresce la percentuale di persone da vaccinare per raggiungere l’immunità di gregge. Dire dal 70 all’80% è un attimo, ma in Svizzera sono quasi un milioni di persone in più. Ergo: meno virus circola, meglio si vaccina.

Questi fondati assilli non sono però stati spiegati alla popolazione, con la necessaria perizia. Manca una narrazione. Siamo ancora fermi al concetto di chiusura per salvare gli ospedali e al vaccino come luce in fondo al tunnel. Troppo poco e male. Soprattutto manca una prospettiva, sia nella campagna di vaccinazione, sia nelle misure di accompagnamento che dovranno sostenere le riapertura. Siamo ancora al dibattito sciocco e consunto tra chiusuristi e aperturisti. Il “come” riaprire, per evitare un nefasto terzo lockdown, non sembra all’ordine del giorno. E non va bene. 

Il Governo ticinese, nell’accordarsi alla richiesta di allentamenti, ha buttato là un tema centrale: quello dei test rapidi. Sappiamo che le nostre case farmaceutiche stanno per mettere in commercio, a poco prezzo, dei tamponi fai da te, in grado di fornire un risultato in 15 minuti. Il test casalingo potrebbe effettivamente rivelarsi uno strumento molto utile per riaprire la società in sicurezza e per spegnere sul nascere i nuovi focolai. Se ne parla troppo poco nel dibattito politico-sanitario in Svizzera e sarebbe bello se il Ticino, come i Grigioni hanno fatto con i test di massa, si facesse promotore di un progetto pilota che marci in questa direzione. 

Ci auguriamo che il mondo sanitario ticinese, che abbiamo sempre sostenuto, non si chiuda a riccio rispetto ad ipotesi di questo tipo, in passato scartate forse con troppa leggerezza. È anche compito dei nostri specialisti scervellarsi ed essere propositivi su questo fronte, per non recitare soltanto la parte dei Signor No.

Occorre cominciare a muovere questo limbo di Rubik per cercare di risolverlo. Altrimenti continueremo per settimane a discutere dei ritardi di Berset nella campagna vaccinale e di un Maurer che piange miseria senza arrossire. Meritiamo di meglio.

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