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L'Ippopotamo al Festival
10.08.18 - 17:270
Aggiornamento: 12.08.18 - 11:22

Dall’Italia alla Corea del Sud, due film, una stessa struggente domanda: perché l’amore riempie di attese troppo grandi, che il partner non può compiere?

Di che si tratta? Dell’implosione endemica del rapporto di coppia, su vasta scala....

E’ probabile che il sud coreano HONG Sangsoo vincerebbe anche quest’anno il pardo d’oro se… non ne avesse già vinto uno anni addietro, con l’aggiunta di un precedente pardo d’argento. Il suo “Hotel sulla riva di un fiume” (“Gangbyun Hotel”) non avrebbe rivali neanche quest’anno, a detta di alcuni critici presenti a Locarno.

Spinti da uno di loro l’abbiamo visto ieri. Dopo i primi minuti di spaesamento, dovuti alla lentezza del ritmo, al bianco e nero e alla voluta povertà dello stile, la storia ti cattura, le immagini acqua e sapone (con quegli zoom sparati in barba alle scuole di cinema) e i dialoghi scarni ti immergono nei drammi dei personaggi permettendoti un’immedesimazione profonda.

Ci vuole giusto quel po’ di pazienza che occorre sempre quando si trasloca da una civiltà a un’altra. E con HONG Sangsoo approdiamo in una civiltà asiatica, bene o male plasmata da religioni orientali (buddismo e confucianesimo in particolare). Ebbene, volete sapere qual è la tematica dominante di “Gangbyun Hotel”? La stessa, se andiamo all’osso, che percorre da cima a fondo il film italiano portato ieri sera in Piazza Grande, “L’ospite”, di Duccio Chiarini.

 

Di che si tratta? Dell’implosione endemica del rapporto di coppia, su vasta scala. Si noti che il collasso avviene nel “cuore” del singolo io, anche se la caduta di un birillo dietro l’altro crea un effetto sociale destabilizzante, specie là dove un nucleo famigliare con figli si stava consolidando o era già assestato.

 

Nel film italiano il fenomeno è descritto con realismo all’apparenza divertito (una sorta di nichilismo gaio), anche se in verità la rete di coppie amiche che si sfalda sotto gli occhi increduli del protagonista, a sua volta piantato in asso dalla compagna, genera evidente sofferenza (che nessuna teoria su coppie aperte e famiglie arcobaleno può lenire). Lo smarrimento e la confusione dominano. Ma, al di là delle manifestazioni del disagio di coppia (musi e litigi), è interessante cogliere che smarrimento e confusione si generano nell’io, femminile o maschile che sia, quando l’effetto dell’innamoramento pare dissolversi. Poi subentrano, a riempire il vuoto che si sta creando, nuove “storie”, colpi di fulmine vissuti come segni di un inesorabile destino. E così via, con prospettive seriali.


Vorremmo essere capiti: non ci sfiora neppure l’idea di calare giudizi morali su questi film e men che meno sui protagonisti storici e reali di simili vicende, che oggi ci coinvolgono tutti, in un modo o nell’altro. Anche le bene intenzionate ricette di etica sociale stile “ritorno ai valori tradizionali” sottovalutano che siamo ormai di fronte a un crollo di evidenze che ha a che fare con le fondamenta stesse dei “valori tradizionali”. E’ appunto quello che i nostri due film ci mettono davanti agli occhi.

 
Torniamo in Corea del Sud. Qui non siamo più di fronte a un eventuale nichilismo gaio ma, se mai, sprofondiamo nella sua versione più triste (basti guardare le foto delle locandine del film). I cinque protagonisti sono: due donne che si compiangono con vicendevole tenerezza per la crudeltà dei reciproci compagni che le hanno abbandonate; i due figli di un anziano poeta, uno divorziato e l’altro terrorizzato dalla prospettiva di legami stabili; l’anziano poeta che, sentendosi vicino alla fine (che in realtà sta cercando), convoca i due dopo anni di distanza e si sente finalmente rimproverare in modo esplicito di aver abbandonato a suo tempo, improvvisamente, moglie e figli. Una delle due donne sussurra a un certo punto: “Ma perché dobbiamo vivere in un mondo così?”. E il poeta, abbagliato per un’ultima volta dalla bellezza femminile delle due, dedica loro un poema disperato per poi ubriacarsi fino al suicidio.


Siamo giunti al nodo della questione. Che forse si può esprimere così: l’innamoramento apre nel cuore dell’uomo una prospettiva di totale e definitiva felicità, alla quale chiunque l’abbia sperimentata non vorrebbe mai più rinunciare. Eppure –ecco la maledizione di questo “mondo fatto così”- l’altro che ha suscitato questo desiderio si rivela incapace di compierlo, pur avendone fatta sperimentare un’iniziale soddisfazione. La fatale domanda che possiamo porre, in conclusione, è la seguente: è davvero in grado, l’altro, essere limitato e finito, di realizzare un desiderio dalle dimensioni palesemente infinite? I due film ci danno una inequivocabile risposta negativa. E, a nostro parere, realistica e perciò giusta.

 
Forse per questo entrambi suggeriscono quanto sia insensata ogni pretesa e quindi ogni accusa verso chi ha destato nel cuore una tale sete inestinguibile senza poterla sempre e di nuovo soddisfare. Perché dunque la Natura ci ha “fatti così”? E’ un’altra domanda, che si può tranquillamente rimuovere (“tanto non c’è risposta”). Ma se non ci si avventura alla ricerca di una risposta si deve essere consapevoli che tutti i tentativi di incerottare o rincollare i pezzi, con soluzioni del genere “all’amore-passione deve subentrare l’amore-fedeltà” potevano ancora avere un senso fino a qualche generazione fa. Oggi sono destinati a più o meno rapidi fallimenti.

 

Errata corrige. Marco Solari ci ha gentilmente corretto un’inesattezza: il volume con il programma ufficiale del festival è stato stampato in due versioni, una delle quali in Italiano/tedesco. Prendiamo nota. A noi ippopotami, chissà perché, era toccata la versione francese/inglese.

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